La Calabria e il coronavirus

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Il prof. Saverio Di Bella

Senza pecuri

vindu lana

(senza possedere pecore ne vendo la lana)

La Calabria è stata inclusa tra le Regioni italiane colorate in rosso. Colore che indica le Regioni nelle quali il rischio pandemico è al quarto livello, quello a maggiore rischio nel modello  gestionale applicato alla pandemia deciso dal Governo.

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Come mai, considerato che la Calabria non presenta in termini assoluti livelli di contagio e di bisogno di ricovero in terapia intensiva alti e tenendo conto che i morti per coronavirus nella Regione sono, tutto sommato, pochi? Naturalmente se questi dati vengono paragonati ad altre Regioni segnate in rosso (es. la Lombardia, la Val d’Aosta, il Piemonte). Semplice. Perché le strutture ospedaliere e i livelli di ospedalizzazione praticabili in terapia intensiva e subintensiva sono, in Calabria, assolutamente insufficienti anche in situazione di normalità sanitaria. Si aggiunga che interi ospedali sono stati chiusi e in quelli ancora aperti sono stati chiusi, in più città, interi reparti. Se si guarda poi al quadro dei medici e gli infermieri in servizio già rispetto ai bisogni normali, le lacune e i vuoti negli organici sono semplicemente spaventose e intollerabili. Il tutto evidenziato dal fatto che la Regione Calabria e i calabresi sono costretti ad uscire fuori dalla Regione per andare altrove a curarsi: in particolare a Roma, a Bologna, a Milano. A pagare in soldoni questa emigrazione sanitaria forzata è la Regione Calabria. Per cui si verifica così un fatto assurdo: la Regione Calabria spende i soldi della sanità per finanziare la sanità di altre Regioni. E qui veniamo al proverbio che fotografa, analizzato bene, l’assurdità della situazione calabrese: senza pecuri vindu lana. Il pastore che pur privo di pecore, vende la lana delle stesse, viene pagato dal compratore. La Calabria non ha pecore – un sistema sanitario che garantisca almeno i livelli minimi di sanità – perché priva delle strutture ospedaliere; vende lana – cioè vende ad altre Regioni i calabresi ammalati. Solo che, ribadisco il paradosso, invece di ricevere soldi li esborsa, paga. E’ evidente che chi ha governato la Calabria e il suo sistema sanitario è colpevole di avere creato una realtà allucinante che esplode oggi proprio perché il coronavirus mette a nudo le ferite inferte al sistema sanitario regionale in decenni di malgoverno e malaffare.

Tentare di scaricare sui medici – bravissimi – o sugli infermieri, altrettanto bravi, le responsabilità del disastro sanitario della Regione da parte di chi la governa, è semplicemente uno spettacolo osceno.

lor Signori ci limitiamo a chiedere: come mai hanno creato in decenni questo sfacelo; non hanno assunto ne medici ne infermieri; hanno distrutto la medicina territoriale e di base; hanno fornicato, senza vergogna, con la ndrangheta per cui sono state sciolte per mafia tutte le ASL della Regione. Si è visto, addirittura, che la ndrangheta ha potuto assicurare, mettendo capitali propri, la sanità calabrese unendosi, di fatto, ad una compagnia di assicurazioni svizzera incaricata, a prezzi notevoli, di indennizzare i cittadini calabresi penalizzati, eventualmente, sul piano sanitario. Il tutto senza che ne l’Assessore regionale alla sanità, ne il Commissario Governativo – la sanità calabrese è commissariata da più lustri – trovassero nulla da ridire.

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Sul piano politico si danno giudizi relativi a chi fa politica. Questa critica, doverosa, alla classe dirigente regionale calabrese, va estesa anche alla Santelli e alla sua Giunta, incluso il vice presidente che attualmente la sostituisce, essendo subentrato dopo la dipartita della Santelli nel ruolo di Presidente.

E’ evidente che nessuno si aspettava miracoli da questa Giunta, ma la gestione complessiva e il bilancio politico presentati dalla stessa, sono in linea perfetta con chi li ha preceduti al potere in Calabria.

Così, mentre sul territorio continua a permanere una situazione inaccettabile di carenze strutturali, l’attuale maggioranza nella Regione invece di agire, protesta contro il Governo e spinge alla protesta i cittadini come se sul terreno della sanità i poteri della Regione fossero inesistenti. Troppo facile e troppo stupido.

Se ne sono capaci, cosa di cui dubito, i membri dell’attuale Giunta e dell’attuale maggioranza si rimbocchino le maniche, utilizzino i fondi lasciati a dormire sonni profondi, assumano personale medico e infermieristico indispensabile, ricostruiscano la base territoriale della sanità e razionalizzino chiusure e aperture di reparti o di interi ospedali.

Bisogna che i calabresi – le vittime – condannino, politicamente e moralmente – i carnefici – che non sono a Roma o, ove fossero a Roma lo sarebbero come complici e manutengoli dei carnefici che sono in Calabria. E che sono facilmente individuabili da parte di tutti, anche se tutti fanno finta di non saperlo. E allora ripetiamolo – repetita juvant – se non altro per non fornire alibi al silenzio, all’omertà, alle complicità. Questi carnefici sono la classe dominante il Calabria – non a caso dico dominante – con le sue clientele fameliche che privatizzano a proprio vantaggio il pubblico erario e le pubbliche risorse; e i loro tradizionali alleati e complici: gli ndranghetisti e la ndrangheta.

La storia della sanità calabrese, per chi la vuole ricostruire, passa necessariamente all’interno di questo groviglio di vipere, di assassini, di traditori dello Stato e dei calabresi.

Saverio Di Bella

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