Le SERATE (prima dell’avvento della televisione)

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Nelle lunghe e fredde sere, specialmente d’inverno, dopo la frugale cena, per lo più a base di pane di farina di mais, cucinato in una teia (tighea), a “pitta” e verdure “jerb’i margiu” bolliti e conditi con olio di oliva, o una zuppa (suppa) di latte e pane raffermo o duro (pani tostu) ci si riuniva attorno al braciere.

Tutto questo avveniva fino alla fine degli anni ’50, prima dell’avvento della televisione.

Le donne filavano o rammendavano abiti, indumenti e sacchi di iuta, o lavoravano ai ferri per fare maglie e calze di lana.

Gli uomini erano intenti a fare corde di sparto secco e ammollito (gutimu), opportunamente intrecciato, oppure di canapa (cannamu) da usare come finimenti per attaccare gli animali (mucche, asini, cavalli) al carro o al carrozzino o per sellarli e guidarli.

Spesso si usava andare da parenti o amici per trascorrere insieme la serata (fari a sirata).

A volte alcune famiglie si riunivano insieme, cambiando, alternativamente, la sede di incontro di sera in sera. Con il rispetto e una cordialità reciproci notevole e patriarcale. Al lavoro alacre e fruttuoso delle mani che percorrevano la lunga faticosa tela o intrecciavano la canapa e lo sparto, si mescolavano i racconti, i motti di spirito. I ragazzi stavano assorti ad ascoltare il linguaggio compassato e lento dei vecchi, condito coi motti di spirito molto espressivi nel bel vernacolo. I racconti dei briganti, le favole e quant’altro rivivevano nella fantasia e fugavano il sonno dai loro occhi. Al lavoro si mescolavano racconti, motti di spirito, pettegolezzi… molto espressivi nel bel vernacolo.

Alla fine della serata il commiato: “BONA SIRA VI DISSI QUANDU VINNI; BONA NOTTI E SALUTI E JAMUNCINDI”.

Pasquale Vallone

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