“Il patriota e la maestra” di Vito Teti secondo Titti Preta

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Maria Concetta Preta
Maria Concetta Preta

Recensione di Titti Preta  del libro “ Il patriota e la maestra” di Vito Teti (Quodlibet ed.), vincitore del Premio Letterario Tropea 2013.

IL NOSTOS DELLA CONOSCENZA 
La mia recensione su Il patriota e la maestra di Vito Teti, vincitore ieri del Premio Tropea VII edizione :il mio omaggio al grande Vito!
“Un viaggio nella memoria per il recupero della propria identità comunitaria”
Il viaggio nel viaggio: da quello dei due protagonisti a quello dello storico che ne segue le tappe.
Dall’oblio torna perentoriamente alla conoscenza una storia di un vissuto familiare in un determinato periodo della Storia d’Italia. “Una microstoria disconosciuta” che non compare nelle fonti ufficiali e che, per riappropriarsene, bisogna scavare fra carte obsolete e dimenticate di archivi custoditi come “sacelli della memoria”. Lo storico come “ladro di memorie” da consegnare alla posterità, brandelli d’umanità, di vite nascoste con i loro desideri, sentimenti, pulsioni.
Ci sono memorie sotterranee – cancellate, rimosse – che, nonostante tutto, riemergono e si intersecano ad altre. Saranno persone con le loro idee, o luoghi perduti, “spazi della memoria” che materialmente ci additano il dovere di ricordare.
L’autore addita le tipologie della memoria: familiare, privata, pubblica, comunitaria e sociale che spesso seleziona e fa dimenticare. Organizzare la memoria è un lavoro certosino, richiede impegno, tenacia e spesso si fa disinteressatamente. “ “Historìa” in greco vuol dire ricerca, indagine sul campo autoptica. Il verbo greco di cui condivide la radice, “orào”, vuol dire vedo, dunque so.
Un viaggio alla maniera di Erodoto quella di Vito Teti, in cui la storia si tinge dei mille colori della quotidianità e conforta il lettore curioso che trova nell’opera un affresco socio-antropologico dell’800 e dei primi del 900. L’uso di fonti diverse per tipologia, la loro decostruzione e comparazione, l’attenta revisione confluiscono in una dimensione corale della storia del Risorgimento e del periodo post-unitario.
Si parte dalla storia di una famiglia ma, prima ancora, di un uomo che fece dell’amore per la libertà il suo credo e sacrificò la sua giovinezza in nome dell’ideale patriottico. Un eroe, prototipo romantico del patriota indefesso. Antonio Garcèa, nato a S.Nicola da Crissa la cui vicenda si interseca, nella seconda parte della sua vita, a quella della giovane maestrina settentrionale Giovanna Bertòla.
L’opera è sospesa tra il saggio storico e la cronaca romanzata o storia cronicizzata per una reconstructio avvincente e inframmezzata dalla pagine della maestra: infatti Il “calabrese colto e ribelle” è oggetto di un minuzioso racconto fatto dalla giovanissima consorte (lei 18 anni, lui 43!) che funge da monito civile, allora come oggi. In fondo è stata la Bertola a organizzare la memoria e a costituire l’archivio Garcea nel tentativo di arrivare alla macrostoria dalla microstoria.

Figlio di un medico, Anselmo, di cui si dice che abbia curato il leggendario brigante Vizzarro, Antonio viene accostato a personaggi significativi della Risorgimento calabro: Benedetto Musolino, i cinque martiri di Gerace, e, allargando il campo, a Michele Morelli.
Le rocambolesche fughe, le lunghe peregrinazioni di carcere in carcere, l’esilio in Irlanda e Inghilterra rendono il Garcea un martire che non sconfessa mai le proprie idee, che si spezza ma non si piega. Comunque un uomo profondamente inserito nel vortice degli eventi che porteranno all’unificazione dell’Italia, e che conosceva grandi uomini, come il Poerio, che fece dono alla famiglia Garcea della sua aorta, sorta di reliqua laica custodita a S.Nicola da Crissa. E proprio “L’aorta del Poerio” si intitola la prima parte della reconstructio, mentre la II° è “Pane e libertà”, in cui emerge perentoria la figura femminile di Giovanna con la sua modernità e la sete di conoscenza.
L’eroe e l’eroina, quindi. Il simile col simile. Nonostante la differenza d’età e la lontananza dei luoghi d’origine, il calabrese e la piemontese, i due danno vita ad un connubio atipico per quei tempi, sfrontatamente moderno. 
Giovanna è una “suffraggetta” ante litteram, amica delle donne, animatrice di un circolo, ideatrice di un giornale fatto dalle donne per le donne escluse dall’istruzione e dalla vita socio-politica. Una maestrina del Nord che si affida al potere della scrittura per decodificare il mondo e che reinventa costantemente la sua vita non all’ombra di un grande marito, ma lei stessa protagonista che rifulge di luce propria. Una figura sospesa tra sociologia e ricerca documentaria, ma che non dimentica di essere donna e madre come anche educatrice. Una vita spesa per l’insegnamento, l’istruzione, l’impegno civile … sempre con un libro in mano. E poi, a sorpresa, dopo la morte di Antonio, il nuovo, burrascoso matrimonio con un nipote del marito e la nuova maternità in età avanzata per quei tempi e per una come lei che nella sua vita aveva bruciato le tappe e che aveva saputo sempre reinventarsi la vita. Giovanna detta la “Mammagrande”.
Una storia di impegno, di passione ma anche d’amore e di viaggio: in fondo Antonio e Giovanna sono due “migranti intellettuali” che nell’Italia postunitaria seguono un iter faticoso e costellato di tappe, infaticabile come l’energia che i due profondono nei loro ruoli, come animati da un tarlo, da una molla che li spinge a ricominciare e a non dare mai nulla, nella vita come nel lavoro, per scontato. Perché così è la storia: una fine ed un nuovo inizio, le carte si rimescolano (per sorte? Per volontà propria o altrui?) e il gioco ricomincia. 

Maria Concetta Preta

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One Reply to ““Il patriota e la maestra” di Vito Teti secondo Titti Preta”

  1. Bel libro e bellissima e profonda la recensione. Non è un romanzo però e per questo non doveva nemmeno essere scelto nella terna dei finalisti al premio, Con tutto il rispetto per l’esimio e noto prof. Teti!

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