Libro don Giuseppe Furchì – cap. 16-17-18-19

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Don Giuseppe Furchì

Omaggio a don Giuseppe a dieci anni dalla morte.

Capitoli 16-17-18-19 del libro:

“Don Giuseppe Furchì: il suo cammino terreno” di Pasquale Vallone

(Thoth Edizioni di Mario Vallone -2012)

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  • TRA LA    COMUNITA’   ARGENTINA

Nel 2005, don Giuseppe ha fatto l’ultimo viaggio in Argentina dove ha incontrato, come le altre volte, la comunità brattiroese. E’ stato ospite in una missione dehoniana. Don Giuseppe, tutte le volte che è andato, in Argentina è stato accolto in modo festoso. Portava l’affetto di tutti i brattiroesi ai concittadini emigrati, e questo era il regalo più bello perché ricordava il loro paese e il loro passato. Ogni anno qualcheduno di questi emigrati è sempre ritornato a Brattirò in occasione della festa dei Santi  Cosma e Damiano per la fede incancellabile e, con l’occasione, rivedere il luogo natio, i parenti, i vecchi amici…

Pure loro festeggiano in Argentina i Santi Medici perché sono rimasti profondamente legati alle tradizioni del paese natio e, cosa ancora più positiva, queste tradizioni le hanno trasmesse ai loro figli e ai loro nipoti.

Festeggiano la ricorrenza non il 27 settembre ma la prima domenica dopo questa data, perché così possono ritrovarsi tutti in un giorno non lavorativo e possono dedicare l’intera giornata ai loro ricordi e ai loro Santi Medici che li riportano alle loro radici.

Hanno una loro parrocchia a Buenos Aires, dedicata ai Santi Cosma e Damiano con una chiesetta in cui ci sono le statue dei Santi che, dopo la celebrazione della Santa Messa vengono portate in processione al suono di una banda. Preposto a questi festeggiamenti è un apposito comitato formato da emigrati brattiroesi, il quale organizza la festa religiosa e quella civile che si conclude la sera con un concerto e con i fuochi d’artificio.

Hanno un appezzamento di terreno recintato dove si riuniscono, dopo la celebrazione religiosa, per consumare un ricco “assado” con grigliate di carne e salsicce e passare una giornata in allegria e di ricordi. E’ l’occasione per rivedersi e ricordare, nostalgicamente, il paese natio che hanno dovuto lasciare in cerca di un lavoro.

Da una ricerca fatta risulta che, negli ultimi 90 anni, sono emigrati da Brattirò circa 980 persone; di questi circa 800 nella sola Argentina. Calcolando almeno quattro generazioni, si deduce che nella sola Argentina vivono oltre tremila brattiroesi!

  • FA DONAZIONE    DI   UNA    MUCCA

Nel 2005, dopo un viaggio in Argentina, andò in Uruguay. Qui visitò la Missione “Villa Betania” e la trovò in condizioni miserevoli. Chiese come poteva aiutarli e cosa serviva di essenziale. Gli dissero che se avessero avuto una vacca potevano risolvere tanti loro problemi. Allora don Giuseppe, senza esitare, diede subito i soldi perché comprassero una mucca. E così fecero.

Quella mucca, nell’immediato, cominciò a dare il latte, alimento indispensabile ed essenziale per i bambini di quella Missione che altrimenti sarebbero morti. Nel futuro la mucca diede, oltre al latte, anche i vitelli, e quindi altri proventi, se venduti, con cui poter comprare altre cose necessarie e vitali.

Insomma, quella mucca ha risolto tanti problemi. È stata una manna, un vero nutrimento celeste per quella Missione, simile a quello che, secondo la Bibbia, rese possibile al popolo ebraico, durante l’esodo dall’Egitto, la sopravvivenza mentre attraversavano il deserto del Sinai.

Riportiamo una lettera di ringraziamento, per questa donazione:

02/04/2006

Caro don Giuseppe,

sono Caterina, vi ricordate di me? Come state? Spero bene. Proprio in questi giorni, abbiamo messo a frutto i vostri soldi proprio comprando la prima vacca per chaera  (la comunità). La costruzione va avanti e con il vostro aiuto già l’anno prossimo la vacca dovrebbe dare il latte che poi useremo per fare il formaggio.

 Qui a Villa Betania, siamo nel pieno delle attività, sono ritornati i ragazzi che vivono con noi durante l’anno, abbiamo riaperto il merendero, stanno venendo tanti, tanti bambini, e il latte va via in pochi secondi.

Per la settimana santa, stiamo preparando una Via Crucis che poi faremo nel quartiere.

Tante cose pratiche, tanto lavoro, e c’è bisogno di tanto aiuto sia dall’Italia, che da quelle uruguaiane che vivono vicino a noi. Ma soprattutto tutto ciò deve essere fatto con l’aiuto di Dio, perché sennò non ce la potremo fare.

Caro don Giuseppe, vi auguro di passare una buona Pasqua e Grazie, grazie, ancora tante per il vostro aiuto. Caterina.

Adesso abbiamo vacche! La prima pietra della costruzione, messa insieme a voi l’8 dicembre, è rimasta visibile. Andiamo avanti con i lavori, pensando ai mattoni,  ma soprattutto alle pietre vive. Grazie di tutto.

Caterina

  • COLLABORAZIONE CON  DON   TOMMASO   FIAMINGO

Nella Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, don Tommaso Fiamingo, parroco di San Nicolò di Ricadi e di Brivadi, è il Direttore del Centro Missionario Diocesano e don Giuseppe è stato nominato membro della Commissione come esperto delle Missioni.

C’è stato tra i due sacerdoti un rapporto spirituale: sono stati l’uno confessore dell’altro, ma anche pastorale e di collaborazione.

Il martedì della settimana di Pasqua, don Giuseppe si recava a San Nicolò e a Brivadi per le confessioni e altrettanto faceva don Tommaso, il mercoledì, a Brattirò.

Spesso don Giuseppe celebrava la Messa alla Casa Accoglienza di Brivadi in assenza di don Tommaso e col suo carattere allegro, gioviale e comprensivo, animava quegli anziani che gioivano e si appagavano nel trovare in questo sacerdote tanto affetto e comprensione della loro condizione.

Don Tommaso e  don Giuseppe hanno fatto insieme diversi viaggi, specie nelle Filippine, dove hanno vissuto diverse esperienze.

In quel Paese non c’è lo stato sociale e, per esempio, se sei malato e hai i soldi ti puoi curare, altrimenti rischi di morire.

Una volta, a Mindanao, furono invitati a pranzo in un locale caratteristico. Quel ristorante era di fronte ad una cascata. La peculiarità tipica era che si mangiava stando seduti con i piedi immersi nell’acqua! C’erano tanti turisti estasiati di questa originalità. Ad un certo punto, don Giuseppe, con i piedi nell’acqua come tutti i commensali di quella grande tavolata, gridò a don Tommaso che era seduto un poco distante: “Tommaso sono contento perché ho trovato il modo di guadagnare tanti soldi e mandarli alle Missioni. Ora che torniamo a casa ci adopereremo a fare un ristorantino come questo alla fiumara che c’è tra Brattirò e Spilinga (don Tommaso Fiamingo è nativo di Spilinga) e vedrai che tanta gente verrà a mangiare annacquando i piedi…”.

Nelle Filippine, esattamente a Maritibog, vicino Mindanao, in una Missione Comboniana, c’è un mulino che hanno chiamato “Mulino San Joseph“ (in onore di don Giuseppe) perché l’hanno costruito con i soldi che, in varie riprese, ha mandato don Giuseppe, oltre 50.000 (Cinquantamila!) euro.

Ci sono stati problemi con i proprietari di altri simili mulini per la concorrenza e allora questo mulino lo hanno definito “mulino per i poveri”.  Si macina quasi esclusivamente riso, tanto riso perché questo è l’alimento sempre presente sulla mensa dei Filippini, come il nostro pane; si macina anche un poco di mais e niente grano.

Una volta, hanno inaugurato una chiesetta, costruita sulla riva di un fiume, con i soldi mandati da don Giuseppe.

In quella occasione arrivò, dalla montagna soprastante, una mamma con la figlia, una ragazzina la quale si mise a piangere esprimendo il desiderio che voleva studiare, ma non potevano mandarla a scuola e mantenerla agli studi: le loro possibilità economiche non lo permettevano. “Tu vuoi studiare?” le chiese don Giuseppe; “E’ il mio solo, grande, desiderio”, fu la risposta della ragazzina.

Senza pensarci tanto, don Giuseppe prese l’impegno, con la madre e con la ragazzina, che l’avrebbe mantenuta lui agli studi fino al conseguimento della Laurea. La ragazzina si chiama Clem. Studiò con impegno e dedizione e ha conseguito la laurea in Ingegneria. Ciò avvenne poco prima che don Giuseppe finisse il suo cammino terreno! Clem voleva tanto abbracciare don Giuseppe, ma le fece sapere che non aveva i soldi per venire in Italia. “Non ti preoccupare, anche a me fa tanto piacere vederti: ti mando i soldi per venire in Italia..”  Non ne ebbe il tempo!

Appresa la scomparsa del sacerdote benefattore tramite don Tommaso, Clem cadde in una profonda e cupa disperazione.

 

  • IL RAPPORTO     CON     GLI     SCOUT

In tutte le attività con i suoi scout, don Giuseppe iniziava le sue celebrazioni Eucaristiche con queste parole: “Il Creato è la più bella cattedrale che ci possa essere. Nessun uomo, per quanto grande, potrà mai fare meglio”.

Scout (Skaut) è una voce inglese, abbreviazione di boy scout, che sta per: esploratore.

Lo scautismo è un movimento giovanile internazionale che si ispira a un tipo di educazione dei giovani che si basa sulla vita semplice e umile, all’aria aperta, nonché sullo spirito di iniziativa e soprattutto sulla disponibilità verso il prossimo.

Ma più che una organizzazione, lo scautismo, secondo il suo fondatore, vuole essere “ Un metodo d’educazione tendente a formare cittadini attivi, gioiosi e utili“.

L’idea principale e centrale sullo scautismo consiste nel proporre ai giovani obiettivi concreti rispondenti alle loro esigenze. Questo, Baden – Powel lo sperimentò nella guerra anglo – boera, durante la difesa di Mafeking, in Africa, nel 1899 – 1900. In quella occasione formò un “corpo di cadetti“ con una propria uniforme, con capi scelti tra loro e con compiti ausiliari “.

La prima organizzazione maschile dei giovani esploratori (boy – scouts) fu fondata in Inghilterra nel 1908 dal generale dell’esercito coloniale Baden – Powel (1857 – 1941) e subito si diffuse in tutto il mondo. Fu seguita, nel 1910, da quella femminile delle giovani guide (girl – guides),  affidata prima alla sorella di Baden – Powel, Agnes, e poi alla moglie, Olave,  e dei lupetti (wolf – cubs) tra 8 e 11 anni. Nel 1918, nacquero i rovers (18 – 25 anni).

Riportiamo una massima di Baden – Powel:

“ Io ho trascorso una vita felicissima e desidero che ciascuno di voi abbia una vita altrettanto felice. Credo che il Signore ci abbia messo in questo mondo meraviglioso per essere felici e godere la vita. La felicità non dipende dalle ricchezze né dal successo nella carriera, né dal cedere alle nostre voglie. Contentatevi di quello che avete; guardate al lato bello delle cose e non al lato brutto. Ma il vero modo di essere felici è quello di procurare la felicità agli altri. Preoccupatevi di lasciare questo mondo un po’ migliore di quanto non lo avete trovato. Siate preparati così a vivere felici. Mantenete la vostra promessa di esploratori, anche quando non sarete più ragazzi e Dio vi aiuti in questo.

Il primo raduno internazionale degli scouts si tenne nel 1920, a Londra, attuale sede del Boy Scout International Bureau  (BSIB), cui fanno capo le associazioni scoutistiche di tutto il mondo.

In Italia fu fondato il corpo nazionale dei giovani esploratori nel 1912, aconfessionale, ossia autonomo rispetto a qualsiasi confessione religiosa, seguito nel 1916 dall’Associazione Scoutistica Cattolica Italiana (ASCI).

Nel 1928 entrambe furono assorbite dall’opera nazionale balilla (ONB) per ricostituirsi dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Nel 1944 i rami maschile e femminile delle due associazioni si sono costituiti in federazione, rispettivamente nella Federazione Esploratori Italiani (FEI) e nella Federazione Italiana Guide Esploratrici (FIGE).

Don Giuseppe ebbe un particolare attaccamento per gli scout. Costoro svolgevano le loro attività nei saloni della parrocchia e spesso partecipavano alle iniziative della parrocchia.

Si adoperò perché gli scopi educativi degli scout fossero legate alle caratteristiche psicologiche proprie dell’età: per i più piccoli si fece leva sull’amore per l’avventura, poi si cercò di educarli al servizio del prossimo.

Le attività praticate e cioè escursioni, vita di campeggio, giochi vari che vedevano sempre partecipe don Giuseppe, non erano di per sé caratterizzanti, ma lo diventavano se vissuti in una prospettiva di fiducia e di amore per il prossimo e così i ragazzi imparavano ad essere responsabili trovandosi inseriti in un contesto unitario e gerarchico.

Gli scout furono organizzati in pattuglie di 7 – 8 componenti guidati da un responsabile detto capo-pattuglia; poi 4 – 5 pattuglie erano raggruppate sotto una guida.

La gentilezza dei pensieri e dei modi di agire e di comportarsi crea amore.

Don Giuseppe si impegnò tanto a stimolare i “ miei scout “ ad avere attenzione dei problemi sociali del nostro territorio.  Camminando, scherzando, cantando.. con i suoi giovani scout, don Giuseppe, li aiutava, con la sua semplicità e la sua partecipazione, a cogliere i segni della presenza del Signore tra di loro educandoli nella fede.

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