Un pregevole esordio letterario

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Sabato scorso, presso l’hotel Tropis di Tropea è stato presentato il libro di Isabella Orfanò intitolato La mia ultima spiaggia, pubblicato dalla Thoth Edizioni.

Ha moderato l’incontro la giornalista Vittoria Saccà.

Oltre all’autrice ed all’editore Mario Vallone sono intervenuti il prof Pasquale De Luca e il critico letterario Nicola D’Agostino.

Di seguito: gli interventi dei due relatori, una galleria fotografica della serata ed un breve video…

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Appunti per l’intervento (breve) su

La mia ultima spiaggia  di Isabella Orfanò

Nove capitoli, una sola voce, quella della protagonista, per raccontare una storia. La sua storia, ordinaria e apparentemente distante dalle altre, che tuttavia può essere anche la nostra.  In ogni tempo e in ogni luogo.

La mia ultima spiaggia è il pregevole esordio letterario di Isabella Orfanò. Un romanzo breve all’insegna di una narrazione minimalista.

Un’impresa ardua, questa della Orfanò, ma sapientemente riuscita – accostandosi così a quella tendenza letteraria fiorita tra gli anni Settanta e Ottanta negli Stati Uniti, dallo stile piano e uniforme: con un uso morigerato delle parole; un linguaggio asciutto e sobrio; scarne descrizioni; nessuna ridondanza. L’attenzione è rivolta perlopiù alle vicende quotidiane – in una visione talora pessimistica – delle quali vengono sottolineati il grigiore e la ripetitività.

«Mi alzo di scatto dal letto e vado in cucina a preparare la mia colazione. Il rituale mattutino del caffellatte mi piace da morire» (p. 17).

«Visto che la mattina non è mattina senza un buon caffellatte» (p. 110).

«Io non sono mai andata a lavoro, dico mai, senza prima aver consumato la mia colazione» (p. 112).

«Vado in cucina a preparare la mia colazione. Mentre la moka lavora sul gas, afferro la scatola dei corn-flakes. Leggo le scritte riportate sulla confezione che, per la verità, conosco a memoria, visto che si tratta di una lettura quotidiana» (p. 57).

Isabella Orfanò racconta, con pungente ironia, vicissitudini quotidiane – sovente anche quelle più piccole e insignificanti – per sondare la crisi che investe ogni cosa: persino l’immagine che ciascuno ha di sé. È anche una sorta di taccuino contro i luoghi comuni di questo presente incerto, un tentativo per smontarne gli stereotipi e allargarne la prospettiva.

La mia ultima spiaggia è il ritratto ad altezza d’occhi di una generazione che non riesce a capirsi. Forse disorientata, spaesata in una quotidianità – plumbea e avara – che rincorre il tempo producendo omologazione.

«Oggi in nome del profitto si rinuncia a tutto. Si rinuncia all’amore, alla salute, alla dignità personale, alla fin fine a se stessi» (p. 67).

Con la dovuta indulgenza, Isabella Orfanò riesce a cogliere quei sentimenti di inadeguatezza, di desolazione, di mancanza di realtà che rappresentano il tratto psicologico saliente del personaggio Francesca. Francesca Strani, la protagonista, che è fuori tempo, fuori posto, fuori moda: consapevolmente “diversa”, talvolta anche tra i diversi. È bene evidenziare che la diversità altro non è che un valore.

Francesca è una quarantenne disillusa, ma non arresa.

«Ho 45 anni, non ho uno straccio di compagno, lavoro (sfruttata) come segretaria in un ufficio nel quale conto poco e niente, non ho amici, di quelli veri intendo,insomma, credo di avere tutte le ragioni per sentirmi così» (p. 5)

E alla fine riesce a rivendicare il suo diritto alle emozioni, comprendendo che amare è dopotutto amarsi. Quindi si arriva, per ultimo, a una svolta sbalorditiva quando nasce un nuovo (e imprevedibile) amore. Un amore che funge da (mero) riscatto etico nei confronti di una società inadeguata e vieppiù prona ai gregari, alla mediocrità.

Il racconto è disseminato da metafore: in più accezioni la parola del personaggio è un traslato. Tanto contegnoso quanto beffardo: così l’ironia diventa autoironia generando quel contraddittorio caleidoscopio di umori e sensazioni in cui risiede proprio il fascino del libro.

«Preparo la moka e la metto sul gas. Sono così impaziente di assistere alla colata di lava cremosa e profumata dal mio piccolo vulcano domestico che, di continuo, la spio mentre, infastidita dalle mie continue violazioni di privacy, borbotta sul fuoco» (p. 17)

«Gli sta appiccicato sulle labbra come una figurina Panini» (p. 66).

«Bisognerebbe dare più ascolto alle nostre sensazioni, a quelle lampadine che si accendono senza che nessuno abbia premuto l’interruttore» (p. 68).

«Mi sento chiamare. Non mi volto. Non voglio rimanere fregata come Orfeo» (p. 76).

«Vado dritta come un freccia rossa» (p. 98).

Non c’è datazione topica. Manca la narrazione descrittiva. E ciò non è necessariamente un limite: qui risiede l’uso accorto di una prosa per l’appunto minimalista.

La mia ultima spiaggia è un romanzo breve, caustico, ora acre, ora divertente dove si scontrano –  unendosi – disagio e passione.

Un libro che difende il tempo, ricercando la lentezza. Perché, come scrive l’Autrice:

«Il tempo è una risorsa, non va sprecato né, tantomeno, usurpato. Ognuno ha il suo ed ognuno ha il diritto di usarlo, con la consapevolezza che ogni uso darà i suoi frutti, buoni o cattivi che siano» (p. 44)

Un libro che si legge tutto d’un fiato… Una voce – afona, fuori dal coro – che merita di essere ascoltata.

NICOLA D’AGOSTINO

 

La mia ultima spiaggia”: il disagio giovanile in un racconto che è libro

     “Sono felice…”. Qualche giorno fa, sul mio profilo face book, ho postato questa frase. Ognuno, poi, ha dato una sua lettura.

     Caro Pasquale (mi rivolgo al medico), caro Pasquale (mi rivolgo al preside), caro Pasquale (mi rivolgo all’altro medico), oggi sono felice perché sono qui, in mezzo ai giovani, a parlare con i giovani di un libro giovane. Scritto da una giovane. Una giovane ragazza che io ho visto crescere, passare accanto sulla stessa via, nata nella mia stessa parrocchia prima che questa venisse improvvidamente amputata nel suo territorio.

     L’autrice è Isabella Orfanò. Di cui non dirò, dirò solo che è figlia della nostra città, una città vivace nella cultura in ogni sua manifestazione (dalla narrativa alla poesia, dalla pittura alla scultura, dalla musica al teatro, al giornalismo) tanto che sembra rivivere una nuova rinascita nel campo delle arti (numerosi sono gli spettacoli d’ogni genere che si susseguono in tutti i giorni dell’anno) che ci fa ritornare al secolo d’oro che per noi è stato il ‘700. Lei, giovane, alla prima esperienza letteraria che l’affida ad un giovane editore, vive da giovane e in prima persona questa nuova realtà di cui è avvolta e di cui è intimamente partecipe. E in prima persona si mette in gioco scrivendo questo libro, che può essere fantasia o realtà.

     Il libro. Mi ha colpito la bella immagine di copertina: un’onda che si frange delicata su una spiaggia solitaria, che può essere la prima o l’ultima, l’ultima spiaggia. Tutti abbiamo una spiaggia cui tendiamo: la prima e l’ultima. La prima spiaggia è quella dell’arrivo dopo una lunga e stancante traversata, l’ultima spiaggia è quella della partenza, del distacco, dell’abbandono, della speranza. Si arriva e si parte, si nasce e si muore, ma nel nostro libro l’ultima spiaggia è quella dalla quale l’Autrice, scusate, la protagonista prende il volo per vivere intensamente, per tornare a vivere, per ritrovare il piacere del vivere in una società moderna o postmoderna, industriale o postindustriale, tecnologicamente avanzata dominata dal digitale, certamente disumanizzata, che uccide e distrugge ogni sentimento umano in una disumanizzazione continua e dissacrante che porta all’annientamento dell’uomo che perde ogni riferimento, ogni valore tipico della sua umanità. È un libro facile, con una scrittura agile e veloce, che porta ad un’indagine interiore per scoprire se stessi e andare oltre le apparenze, oltre la policromìa  affascinante degli abiti alla moda indossati per un solo giorno. È un libro facile, fuori moda perché non ci sono omicidi, femminicidi, sesso, droga, mafia, turpiloquio, ecc. È un libro, però, che non stanca, a volte anche divertente in situazioni abbozzate con ironia o solamente lasciate alla libera intuizione del lettore. È un libro che, in un dialogo interiore, pone l’uomo o la donna, nei panni della sua protagonista, a interrogarsi, a chiedersi perché, a fare domande, domande a se stessa, a specchiarsi, a ritrovarsi. A ritrovarsi su una spiaggia, che è la spiaggia della copertina, che è la spiaggia della vita, l’ultima spiaggia: quella da cui si parte per andare sulle strade segnate dalla vita. E per fare questo è necessario spogliarsi dei quotidiani panni della falsità, della bugia, dell’inganno. Buttare la maschera dell’apparenza. È necessario interrogarsi, scavare dentro, riprendere “il vestitino verde buttato nel cestino dei rifiuti”, quel vestitino semplice semplice che dice chi sei, che mostra la tua persona vera, che non inganna e non ti inganna, che ti sta tanto bene nella sua semplicità, nella sua verità. È necessario, quindi, avere fede, vivere se stessi nella dimensione umana dei propri interessi, dei propri sentimenti atrofizzati da questa società talmente disumanizzante, talmente crudele, e volta tutta al consumismo più sfrenato che spinge a rottamare anche le cose più care, le persone e i sentimenti migliori, allo spreco, alla produttività esasperata, all’uso e getta che non vede l’uomo o la donna nei suoi bisogni, nei suoi sentimenti. E allora è necessario riappropriarsi del proprio io, del proprio corpo, della propria vita, della propria anima. È quello che fa la protagonista del libro, Francesca Strani, nel nome è la spia, il segno significante dell’intento dell’Autrice che fa un’opera di ricerca psicologica con, a volte, l’inversione dei ruoli e delle parti: il buono e il cattivo, il dolore e la gioia,  la professionalità della dottoressa e l’improvvisazione della paziente, l’io e l’anti io, convergenti tutti sulla stessa spiaggia, l’ultima spiaggia, che è poi quella da cui si parte per andare dove davvero il cuore ci porta. E non bisogna avere paura, perché non bisogna avere paura dei propri sentimenti. E, proprio per questo, parte la protagonista, parte ognuno di noi, abbandonando un passato o un presente che non le appartiene, che non ci appartiene, e ciò avviene in un dialogo continuo e tempestoso, con una lotta intestina tutta personale dove non trovi supporto né alleati, una guerra civile combattuta dalla stessa persona nella stessa persona che si sdoppia e si divide, di continuo si divide. Per trovare se stessa.

     Io non racconto il contenuto del libro, né faccio confronti o paragoni, ma dico solo del tema trattato, che è trattato molto bene dall’Autrice, ed è un tema difficile, quello del disagio giovanile oggi, del giovane sempre in fuga da se stesso, dal correre di continuo inseguito dalla luce. Non dalla luce vera, quella del sole, della luna, delle stelle, ma dalla luce falsa, fredda, intermittente dei display colorati, fosforescenti, che crudelmente ti segnano il tempo, ti bruciano la vita. E Isabella, figlia di questo tempo, esce con la sua protagonista da questo tempo per prendersi il suo tempo, per vivere il tempo come lei vuole, in modo strano, in modo diverso, in modo vero e sincero, e lo fa con amore. Con amore, è questo il tema dominante nel libro che piano piano emerge pagina dopo pagina, rigo dopo rigo, per trovare lo sboccio definitivo, come fiore di rosa nel mese di maggio, sull’ultima spiaggia: la spiaggia dell’amore.

     Leggetelo, leggetelo questo libro, leggetelo con amore, perché è scritto con amore.

     Tropea, Hotel Tropis, venerdì 19 giugno 2015 ore 17.30

Pasquale De Luca

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