“I figli di Filomena” secondo Girolamo Caparra

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Storie, realtà sociale e poesia

nel romanzo “I figli di Filomena

di Pasquale De Luca

i figli di filomena

caparra
Il prof Girolamo Caparra

     Il romanzo “I figli di Filomena” di Pasquale De Luca è la continuazione delle drammatiche vicende e delle amare conseguenze, rappresentate nel racconto “La terra di Filomena”. Romanzo che si snoda sul filo del ricordo, di racconti di fatti e vicende, di sofferenze, di dolore, di lavoro e di riscatto di un’intera comunità, di uomini e di donne in carne ed ossa, grandi e piccoli, umili e superbi, forti e deboli, che fanno, nella quotidianità del loro tempo, la storia, la piccola e grande storia della città di Tropea e dei suoi dintorni.

     Si racconta di una famiglia di contadini agli inizi degli anni Quaranta della Contrada Carmine, a cui la Seconda Guerra Mondiale tolse la gioia e la speranza del futuro. Futuro che, a guerra finita, sarà costruito con il lavoro e l’amore di due semplici e poetiche figure, Filomena e Ciccillo. Quest’ultimo perirà tragicamente sulle rotaie del treno, simbolo di progresso, ma anche di dolore e di tragiche separazioni.

     Il romanzo  “I figli di Filomena” delinea invece, con nuovi episodi ed intrecci, in modo chiaro e semplice, dal tono narrativo avvincente, vicende e fatti storicamente inquadrati fra gli anni Cinquanta e Sessanta. Sono anni densi di grandi problemi sociali, di bisogni, di attese e di speranze della gente del Sud.

     La penna di Pasquale, come una cinepresa, si posa sulle vicissitudini, sull’esperienze, sulle macerie, sui vissuti quotidiani di singoli personaggi, umili e nobili, delle loro famiglie, e soprattutto si concentra sulle figure del popolo, della gente povera e laboriosa che riesce, con estreme difficoltà, a preparare un dignitoso futuro ai propri figli.

     Tropea è una città, una città del Sud, con la sua storia, con i suoi monumenti, con il suo centro storico, con le sue chiese, con i palazzi dei nobili illuminati dal sole, con le sue viuzze, con il corso lastricato, la bella cattedrale normanna, con preti e notabili e con i poveri diavoli che hanno solo le braccia per lavorare a giornata.

     Intorno a Tropea si estendeva la campagna, gli orti, quelli del Carmine, della Terra di Sopra di Filomena, dove vivevano i contadini in casette di bresti e di pietra a due piani, con pochi animali, molta fatica, e con gli obblighi e i doveri verso i signori.

     Pasquale racconta, narra, indaga, descrive, scava in questo paesaggio di palazzi, di viuzze, di vicoli, di viottoli di campagna, di chiese per portarci nella storia, dentro le mura di questa città e fuori dalle mura di Belisario.

     Tante sono le storie che si intrecciano, tanti i fatti che fanno cronaca e raccontano la vita nel suo farsi. Lascio alla lettura degli amici e dei cittadini di Tropea il fascino e l’attrazione di questo romanzo. Ma le storie, queste storie anche se immaginate, appaiono vere e concrete nel contesto che Pasquale disegna, fotografa e dipinge, contesto storicamente rilevante di dominati e dominatori, di potenti e impotenti, di poveri e di ricchi, di artigiani e di nullatenenti.

     Il romanzo si apre con un funerale, il funerale di Ciccillo, sposo affettuoso di Filomena, madre di una bimba, Lucia, e di un altro in arrivo. Protagoniste in questa storia sono le donne, soprattutto tre donne, tre popolane: Concetta, Filomena e Micuccia.

     Concetta è madre di Cono, figlio del peccato e della violenza subita. Cono è un ragazzo buono, ma forte perché dovrà superare difficoltà e disavventure per affermarsi come uomo libero. Così pure faranno i figli di Filomena, Luca e Lucia, tanto legati a Cono sin dall’infanzia. Ma il carattere forte, pugnace del racconto di Pasquale sta nelle storie diverse delle tre donne con un comune percorso di silente personale dolore. Esse con tenacia si affermano in una società che tende ad emarginarle. C’è in esse un’antica dignità quella del lavoro sulla nuda terra, quello dell’onore e della fedeltà ai valori della solidarietà tra gli afflitti e gli ultimi.

     Filomena è la madre tenace, forte e volitiva, che con l’aiuto delle compagne riesce a concludere il progetto costruito sulla sua fatica e sulle tribolazioni, ossia educare i figli, istruirli e farli affermare come uomini liberi in una società di eguali. Il romanzo è un canto, un inno al duro lavoro, ai sacrifici della povera gente che vince le insidie dei prepotenti, presenti in ogni tempo e in ogni età.

     Pasquale descrive con scrupolo, con accuratezza le scene del funerale e del lutto, e tira fuori usi, costumi, comportamenti sociali interessanti, in cui compare una fede semplice e pura che placa lo strazio e il dolore, perché sorretto da una grande solidarietà umana. Più la gente è povera e maggiore è il legame di amore e di pietà.

     Concetta ha subito una grave offesa da un importante uomo di chiesa ed è costretta a vivere da maddalena. Da Concetta però arriva un grande conforto, un forte sostegno a Filomena. Concetta, nella sua povertà di donna giovane e bella, emarginata tranne che da quelli che l’accolgono per avere amore, abitava sotto il palazzo del cavaliere in una specie di tugurio nel centro storico.

     Da questo mondo arriva la fraternità, la solidarietà ai parenti del morto e questa usanza ha le radici, come osserva Pasquale, in una grande civiltà, quella greca di Omero. Pasquale nella sua storia produce altre figure, come Betta, con la sua casa a due piani, la stalla e il piano del riposo familiare. Betta lavora in affitto le terre di Orso Ernesto Della Torre, che vive invece in un grande palazzo con il portone di ferro, ben difeso e protetto da una torretta con merli in mattoni rossi. Simbolo del potere era lo stemma di famiglia: un’aquila beccante la testa di un moro. Betta era giovane e bella ed era andata sposa a Filippo Palanchino con un matrimonio combinato che le aveva troncato i sogni fatti da bambina. Il cavaliere prepotente ed arrogante combinava un sacco di scherzi e di angherie ai coloni, che, ogni venerdì, come era stabilito, potavano a palazzo i prodotti della terra.

     I contadini, aggiunge Pasquale, dovevano portare i prodotti della terra ai proprietari: verdure, insalata, ortaggi, frutta. Si formava una lunga processione di gente che andava a piedi e i signori rimanevano nelle loro case agiate.

     Dopo la morte del marito nasce a Filomena il secondo figlio, Luca. Lucia cresceva come una rosa, piena di luce e chiamava quasi sempre papà. Luca fu dichiarato all’anagrafe da Concetta che non ebbe questa gioia, ossia quella di riconoscere Cono come figlio legittimo dal suo vero papà.

     Ben presto Filomena si mostrò donna, moglie e madre. In una notte di tempesta venne assalita nella sua povera casa con la pistola da un malvivente. Con grande coraggio respinse l’assalto, denunciò il delinquente che venne arrestato e condannato.

     Zio Gioacchino pensava di prendersi la Terra di Sopra e di dare a Filomena del denaro ed il figlio in matrimonio. Ma lei rifiutò. Tante erano le difficoltà per lei, ogni giorno una croce, ma non si disperò, le diede forza l’amore verso Ciccillo. La guerra le aveva ucciso il padre, il treno il marito, era madre di due bambini che si affacciavano alla vita. Non si avvilì, non si scoraggiò, si buttò invece nel lavoro e nella fatica come aveva sempre fatto. I figli crescevano. Lucia stava accanto al fratellino, lo accudiva, lo accarezzava e Luca rispondeva con i movimenti delle manine e dei piedini. Il seme dell’amore dà la vita e la rinnova. L’amore di Ciccillo aveva prodotto due gioielli. Filomena era la prima a portare al mercato della Porta Nuova i prodotti della terra. Da mamma Filomena si dà da fare con grande slancio e fatica a far studiare i suoi figli, i figli della sofferenza e del dolore, i figli di una civiltà che oggi sembra quasi scomparire. Essi vanno a scuola, dall’asilo alle superiori. Studiano, hanno una viva intelligenza. Lucia riflessiva, Luca creativo. Si diplomano e vanno all’Università. Lucia diventa maestra e Luca avvocato.

     Il loro percorso è segnato da avvenimenti che li porteranno a maturare. La società cambiava. Negli anni Sessanta si respirava un clima nuovo in Italia ed anche a Tropea. Si facevano strada nuove idee, maggiori aperture sociali, più disponibilità alla partecipazione e alla politica. Gli anni Sessanta sono stati anni fecondi, ricchi di stimoli, di discussioni, di mutamenti  in ogni campo sociale, religioso e civile: papa Giovanni, gli operai, gli studenti scandivano le giornate e costruivano una nuova pagina di storia.

     Luca era a capo del Movimento Studentesco di Tropea. Insieme a Cono, a Lucia e al figlio di Lidya Maria Stefania duchessa di Montecelato del Sannio, si distingueva nel portare avanti le istanze sociali, la partecipazione, l’affermazione dei diritti, del lavoro, della democrazia, della libertà. Luca viene ferito mortalmente durante una manifestazione studentesca, ma subito operato viene salvato da un noto chirurgo.

    Si affermava, scrive Pasquale, una bella gioventù. I figli dei contadini, degli operai, degli artigiani e dei professionisti si scontravano col il passato, con un mondo chiuso e bigotto dove un signorotto si divertiva a scherzare e a torturare i figli del popolo, i senza nome, gli emarginati, dove i prepotenti morivano in solitudine dopo aver spinto, con una cattiva educazione, i figli al suicidio.

     I figli di Filomena, di Concetta, Lucia, Luca e Cono sono una società nuova nata da un mondo di sacrifici, in cui l’onestà e il lavoro erano, sono e saranno una pietra miliare dell’umano progresso. Non mancano in questo ambiente e paesaggio storico e naturale figure, tipi strani e semplici che rappresentano un’umanità ironica e dolente come Peppi Bomporti, Tubiolu e Costantino che veniva dalla Grecia per la cui libertà aveva combattuto.  Come si nota, lo scritto di Pasquale osserva, scava in questa umanità dolente e saggia e ci lascia le testimonianze di un comportamento semplice e poetico. Il sole illumina la città di Tropea, diffonde la sua luce nelle vie e i palazzi proiettano le loro ombre. L’imbizzarrimento di un’asina sconvolge il mercato, la gente scappa lungo la via dei Forgiari e dopo un lungo parapiglia ritorna la calma. In questo scenario protagoniste sono tre donne con il popolo depositario di dignità e riscatto.

     A conclusione di questa amichevole conversazione ritengo che Pasquale, con la sua scrittura sobria e chiara, ha voluto lasciare alle future generazioni un messaggio di grande valore, ossia il valore di una civiltà che si costruisce e si mantiene con la solidarietà sociale contro ogni forma di violenza. Insomma il romanzo di Pasquale è un viaggio dell’anima e della memoria di un poeta e di uno scrittore tra le cose e le case del suo paese che, con un raccontare, oserei dire lirico, scolpisce in forme universali la celebrazione della vita sulla morte, della pace sui disastri della guerra.

Tropea, sabato 4 ottobre 2014, Chiesa di Michelizia

Girolamo Caparra

 

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