Presentazione del libro “Codice Rosso” a Caria: gli interventi dei relatori e le immagini della serata

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Sabato scorso, presso la scuola elementare di Caria di Drapia, è stato presentato il libro di Arcangelo Badolati e Attilio Sabato intitolato “Codice Rosso”, volume che racconta la malasanità calabrese. In questo post riportiamo i principali interventi della serata, registrati e “sbobinati” da Annalisa Fusca. Alcuni di essi sono “spezzati” perché l’audio non è stato eccellente. Mancano, inoltre, nel resoconto i brevi intermezzi  del moderatore Mario Vallone tra un intervento e l’altro, come pure le testimonianze di due persone del pubblico che  hanno preso il microfono alla fine della presentazione: Amerigo Rombolà e Pasquale Vallone.

Vi invitiamo  a leggere tutti questi interventi con attenzione perché il libro in questione denuncia e descrive un problema veramente importante e drammatico.

Buona lettura.

Principali interventi alla presentazione  del libro “Codice Rosso” di Arcangelo Badolati e Attilio Sabato

Mario Vallone

Mario Vallone, giornalista e moderatore

Buonasera e benvenuti alla presentazione del libro “Codice Rosso”, un libro scritto da due bravissimi giornalisti che abbiamo l’onore di avere con noi qui stasera e che affronta un problema, è proprio il caso di dirlo, di vitale importanza, non tanto e non soltanto perchè la stragrande maggioranza del bilancio regionale calabrese viene assorbita dalla sanità con risultati poco soddisfacenti (quindi indirizzare questa grande risorsa nella via giusta vuol dire indirizzare lo sviluppo di questa regione verso un percorso virtuoso) ma anche e soprattutto perché,  purtroppo, tantissime sono le persone morte direttamente o indirettamente a causa di questo problema.

Prima di introdurre il libro voglio spiegarvi brevemente perché lo presentiamo stasera qui a Caria. Il libro è stato presentato in tantissimi altri luoghi e in tantissime altre circostanze. Stasera il libro, che parla di una questione di livello nazionale, viene invece presentato in un paesino dell’entroterra di Vibo Valentia.

Ebbene, lo presentiamo qui perché il comune di Drapia, come tutti ricordate, è stato, per così dire, toccato da un gravissimo caso di malasanità. Infatti, il 12 ottobre del 2011, una donna, una mamma di Caria, Lauretta Pugliese, poco più che 40enne, moriva presso la clinica “Villa Caminiti” di Villa San Giovanni, per un presunto caso di malasanità. Noi siamo tenuti a dire “presunto”, in quanto la Costituzione ce lo impone in attesa del giudizio, però i primi responsi ufficiali, le perizie ufficiali, parlano chiaro: l’anestesista ha avuto gravi e grosse responsabilità sul caso di Lauretta. Su ciò sta comunque indagando la Magistratura, quindi non entriamo nel dettaglio.

Siamo dunque qui perché in quell’occasione la figlia di Lauretta, Annalisa Fusca, dimostrando una prontezza e  un coraggio incredibile  (addirittura, come lei stessa ha sottolineato, le chiedevano gli indumenti della mamma per vestirla e portarla via col carro funebre), ebbene, lei ebbe la prontezza di chiamare i carabinieri e da lì sono partite le indagini. In quell’occasione ho seguito il caso per Il Quotidiano della Calabria. Quindi ho parlato più volte con lei. Ricordo che il giorno del funerale in chiesa Annalisa  fece leggere ad un ragazzo perché lei non ce la faceva una dichiarazione che è apparsa anche sui giornali, quindi è pubblica, nella quale affermava che avrebbe fatto il possibile e l’impossibile per capire cosa fosse successo quel giorno in quella stanza, nella sala operatoria.

L’evento di oggi lo facciamo a Caria, per tenere accesa la luce anche su quel caso, perché  lei ci tiene. Me lo ripete spesso. Sono anche suo amico.  Questo è un modo per non dimenticare l’accaduto. Prima di iniziare, vorrei perciò proporre un applauso d’incoraggiamento per la battaglia che sta conducendo Annalisa, i suoi familiari e i suoi legali, avv. Salvatore Francesco Campisi e Giuseppe Rombolà.

Di cosa parla il libro?

Beh, il libro parla di malasanità. Però, attenzione, non è una mera elencazione dei tanti casi di malasanità verificatisi in Calabria. Il merito di questo libro, secondo me, è di aver ricostruito un sistema, un sistema “malato”, quello della sanità calabrese, dove si muore non solo perché c’è il dottore Tizio o Caio che magari non è in grado di fare il proprio lavoro, ma anche perché vi è l’infermiere con il diploma fasullo e c’è la sala operatoria non a norma, come nel caso di Federica Monteleone.

I casi trattati nel volume sono casi che conosciamo tramite i giornali, che abbiamo già sentito, ma che forse ci siamo persi nel loro  iter giudiziario. Messi tutti insieme questi fatti fanno impressione perché sono delle assurdità. E voi in questo libro leggerete proprio delle assurdità, pur non essendo un libro di fantasia. Non è, infatti, un romanzo ispirato alla realtà. Le fonti che loro utilizzano sono fonti ufficiali, sono atti giudiziari, relazioni delle commissioni di inchiesta. Sono testimonianze dei familiari delle vittime della sanità.

Io mi complimento con gli autori per il coraggio che hanno dimostrato.

Andando avanti con gli anni mi sono convinto di una cosa. Amo la lettura, specie dei giornali. Ho iniziato  la lettura dei giornali alle scuole medie con il Corriere dello Sport. Andando avanti con gli anni, alle superiori ho iniziato a leggere il Corriere della Sera. Sono, quindi, cresciuto leggendo i giornali.  E mi sono convinto sempre più nel corso degli anni di quanto sia importante la forza della parola, la forza della scrittura, che è un’arma potentissima. […] di esempi ne possiamo fare tantissimi in tal senso. Mia madre, che insegnava Italiano alle medie, mi ripeteva spesso che per il gli austriaci il libro di Silvio Pellico, Le mie prigioni,  fu più di una battaglia persa. Pensate, tanto per fare un esempio recente,  al libro “La Casta” di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Pensate alla loro capacità di utilizzare la parola per esporre fatti, denunciare “anomalie”  e sensibilizzare l’opinione pubblica, per tenere accesa la lanterna su determinate problematiche, per spronarci a denunciare, per farci indignare, per farci diventare cittadini consapevoli e coraggiosi in grado di denunciare. E questi sono gli obiettivi del libro di stasera. Quindi sono onorato  di avere con me, con noi,  questi giornalisti importantissimi, di cui non leggerò il loro curriculum perché è lunghissimo e ci metteremmo tantissimo tempo.

Ecco, non voglio dilungarmi più di tanto. Ci tengo a ringraziare l’Istituto scolastico di Tropea per averci concesso e dato modo di poter utilizzare la struttura, il dott. Scalamandrè, ed il sindaco di Drapia, Alessandro Porcelli. Prima di sentire i nostri due ospiti passo la parola proprio al sindaco per un saluto a tutti voi.

Alessandro Porcelli

Alessandro Porcelli, sindaco di Drapia

Buonasera a tutti. Grazie e benvenuti alla presentazione del libro “Codice Rosso”. Grazie e benvenuti agli autori Attilio Sabato e Arcangelo Badolati, dalla cui penna è venuto fuori uno spaccato fortemente realistico e crudo della sanità, in particolare della malasanità calabrese. Nel titolo del libro -“Codice Rosso”, la sanità tra sperperi, politica, e ‘ndrangheta – è trasposto perfettamente tutto il senso, il significato del libro.

Saluto il giornalista Mario Vallone, giovane editorialista del blog Vibonesiamo, ottimo conoscitore della realtà territoriale e delle problematiche che la circondano. Saluto il presidente di Liber@mente, Giovanni Broso, in passato ottimo amministratore di questa comunità. Saluto Annalisa Fusca, figlia di Lauretta Pugliese, che da diverso tempo mi ha espresso questo suo desiderio di organizzare la presentazione di questo libro. Per non dimenticare, per illustrare e far conoscere quanto dolore si può provare quando si ha bisogno della sanità pubblica.

In un  momento in cui la crisi economica ci attanaglia in  modo sempre più violento, e l’esasperazione sta permeando sempre di più la popolazione, quando i cambiamenti dovrebbero potrebbero essere veloci, la politica si addormenta, i problemi non vengono affrontati e stagnano come acqua putrida sempre di più. Le elezioni del 24/25 Febbraio U.s avrebbero dovuto segnare la svolta, il cambiamento e invece siamo ancora in attesa di sapere quando ci sarà l’accordo sulla figura del nuovo Presidente della Repubblica e del nuovo Governo, quando ognuno di noi sa bene che per ogni giorno che passa abbiamo il fallimento di numerose aziende, abbiamo la morte per suicidio di persone disperate che non riescono a pagare l’affitto, o ancora peggio, a dare da mangiare ai propri figli. Occorre intervenire subito, fare al più presto quelle riforme indispensabili per uscire da questa crisi che di peggiore ha avuto solo o forse, quella del 1929. Ho la sensazione che siamo in un momento in cui non solo manca nei nostri politici la consapevolezza della gravità della crisi, ma che non hanno proprio capito che siamo oramai uno stato di sopravvivenza con la disperazione stampata sulla faccia dei giovani, che hanno ormai perso la speranza di un lavoro, la speranza di un futuro migliore. Noi, oggi, siamo qui a commentare la crisi drammatica che attraversa la sanità calabrese e mi sembra di rivivere il toccante momento che abbiamo vissuto in occasione della manifestazione che si è svolta nel giardino del castello Galluppi nel settembre 2010, “Notturno di poesie”, dedicata a Federica Monteleone. Una serata che è servita sicuramente a ricordare Federica, ma anche a non dimenticare e far risaltare i problemi che affliggono la sanità nella nostra regione. Ricordo con piacere e commozione le parole della mamma di Federica che con gli occhi lucidi dichiara di aver ritrovato la sua bambina fra le ragazze che quel giorno avevano danzato  sul palco. Ricordo quando ha detto: «Ho sentito il suo amore attraverso il vostro amore».

Ho sfogliato velocemente il libro di Attilio Sabato e Arcangelo Badolati e tanto mi è bastato per capire come in esso si racconti come tutta la sanità italiana sia sotto accusa, ma anche come quella calabrese sia il massimo della malasanità. La FIAT della Calabria, la definiscono gli autori, una fabbrica capace di assicurare lavoro a 22.143 persone e di far mangiare contemporaneamente imprenditori mafiosi, faccendieri e politici. Una regione la nostra dove:

–          Le liste di attesa sono interminabili, spesso gonfiate ad arte, ma facilmente scavalcabili, basta pagare;

–          Gli esami e a volte gli interventi sono inutili, ma prescritti per fare soldi.

–          I ricoveri e le dimissioni sono decisi con criteri perfettamente economici.

–          I politici si spartiscono le torte e i primari con le tessere di partito.

–          I figli dei professori magicamente vincono concorsi universitari.

–          Le industrie farmaceutiche corrompono medici e controllori.

Una vera e propria casta. Quindi la sanità come un bancomat da cui prelevare all’occorrenza. La Calabria è la regione che vanta il primato delle morti in corsia. Tra gli episodi all’esame della commissione errori sanitari, i morti legati a presunti casi di malasanità in terra calabrese sono stati tra il 2009 e il 2011ben 107. Se a quanto detto aggiungiamo poi che la popolazione calabrese residente è di solo 2.000.000 di persone, il problema rispetto alle altre regioni diventa ancor più allarmante. Lo sperpero di denaro pubblico poi è un elemento prezioso su cui ha sguazzato la politica decidendo di realizzare, o tentare più volte, opere mai andate in funzione. Un fiume di denaro pubblico che non ha mai prodotto beneficio ad un territorio che ha una elevatissima percentuale di emigrazione sanitaria. L’ospedale di Rosarno iniziato nel 1967, ultimato dopo 24 anni e mai inaugurato. L’ospedale Gerace iniziato  nel 1967 completato nel 1988, mai entrato in funzione. L’ospedale di Scalea iniziato e completato, ma del quale si utilizza solo un piano. L’ospedale di Vibo Valentia, del quale si è posata la prima pietra e poi più niente. Non è una questione di colore politico, perché la Calabria ha avuto un’alternanza di governi di diversa estrazione e collocazione politica. Un lungo e tragico elenco di persone che, per colpa di una cattiva politica sanitaria, sono morte o sono state costrette a lunghi e penosi sacrifici. Fra queste persone non possiamo non ricordare:

-Federica Monteleone, morta nel 2007, durante un black out, mentre era sotto i ferri per una semplice operazione di appendicite. Fu un caso che fece molto clamore, ma da allora poco è cambiato. L’ospedale di Vibo Valentia è così com’era. I medici di prima continuano ad operare senza problemi e altri, pur con delle condanne alle spalle, sono anche promossi in altre strutture.

-Eva Ruscio, il 3 Dicembre del 2007 nella stessa sala operatoria di Vibo Valentia , muore per un’operazione alle tonsille.

-Lauretta Pugliese, morta a seguito di un intervento di protesi d’anca in una clinica convenzionata di Villa San Giovanni nel 2011.  La figlia che ha voluto questa manifestazione e che è qui con noi, ha avuto la prontezza di denunciare quanto successo ai carabinieri, prima che gli infermieri spostassero il corpo. Il tutto pare per una doppia dose di anestetico. Si attende la giustizia. Una giustizia lunga a venire che a volte viene pure manovrata. Fra le pagine del libro si legge di morti per banalità, dove la banalità è colpa della coscienza che non c’è, non c’è nel professionista, non c’è nel politico, perché entrambi spesso sono legati da un filo comune che non trova nella meritocrazia il trampolino che è invece nella classe politica, la quale per accontentare o allargare il proprio elettorato gioca con la vita o la morte delle persone. Si muore per un nonnulla. Un defibrillatore che manca o che non funziona. Un corto circuito che si produce di botto. Una diagnosi errata. Un farmaco che viene somministrato in maniera sbagliata. Tutto questo non può che provocare ribrezzo  e indignazione. Sia chiaro esistono tantissimi esempi di ottimi professionisti. Eccellenze e reparti con strumentazioni modernissime. Quando si tratta di vite umane non si possono e non si debbono commettere errori. Leggere e conoscere come e perché è stato assassinato il presidente del consiglio della regione Calabria, Francesco Fortugno, credo sia un atto dovuto per ognuno di noi. Per capire quanto vale la vita di una persona quando indirettamente può pestare i piedi a qualcuno. È in questo passaggio che si ritrova prepotente la presenza della criminalità organizzata in stretta commissione con la politica. Al posto di Fortugno ci doveva essere Crea. Questo è quanto il libro inchiesta racconta e denuncia. Un viaggio scomodo all’interno di documenti e carte che rivelano le insidie della politica. Un’inchiesta che lascia con il fiato sospeso, intrisa di malaffare, dolore, disperazione e morte. Concludo con la certezza che anche noi, possiamo e dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo innanzitutto dire basta. Urlare basta a quei gruppi di potere politici ed economici che con la spregiudicatezza e l’avidità che li contraddistingue non si fermano neanche davanti alla morte, anzi sfruttano la disperazione altrui per rimpiangere i loro conti economici. Dobbiamo dire basta alle collusioni, alle infiltrazioni mafiose che non si fanno di certo sfuggire l’occasione per allungare la mano sulla ricca torta della sanità pubblica.

Giovanni Broso

Giovanni Broso, presidente associazione Liber@mente

Saluto tutti voi presenti. Ringrazio la compaesana ed energica Annalisa Fusca che ha voluto organizzare questa manifestazione che sicuramente sarà un momento di riflessione sullo stato della sanità calabrese. Voglio ringraziare anche gli autori del libro “Codice Rosso”, principalmente perché con la loro opera hanno descritto il sistema sanitario calabrese. Hanno avuto la forza di scandagliare nella regione le varie cause da attribuire sicuramente  alla gestione del servizio sanitario calabrese. Voglio ringraziare Mario Vallone, il sindaco, e tutti voi per la partecipazione.

Arcangelo Badolati

Arcangelo Badolati, autore del libro

Grazie a tutti voi. È con grande piacere e grande rabbia che siamo qui a parlarvi, in un posto in cui uno di voi ha pagato con la propria pelle la malasanità. Questo libro nasce perché ho un figlio che va a scuola e un giorno tornato da scuola stava male. Siamo andati all’ospedale di Cosenza che dovrebbe essere un ospedale centrale come l’ospedale di Vibo Valentia, in genere sono strutture in grado di garantire dei servizi adeguati.  Ho speso cinque ore al Pronto soccorso senza che nessuno ci desse confidenza. A fianco a mio figlio c’era un ragazzino che era nomade rom, che era li ancor prima di noi, accompagnato da un extracomunitario senza aver ricevuto nessuna informazione, non c’era nessun infermiere. Io ho chiamato il collega Attilio Sabato, non ho detto chi ero, perché avrei dovuto fare quello che fanno tutti, che non si deve fare: dire chi sono. Sono il giornalista Tizio, figlio dell’avvocato Caio, parente di Sempronio, cugino del sindaco medico, per ottenere un diritto o permesso riconosciuto. Il libro nasce  da quest’ esperienza, di circa cinque ore e mezzo buttate in questo Pronto soccorso, con  gente che in quell’ospedale non sapeva a chi rivolgersi. Ho deciso da li, a titolo di testimone di scrivere questo libro. Abbiamo cominciato a fare il giro della Calabria. Questo libro nasce dall’indignazione, che è un popolo calpestato da secoli. Quest’indignazione deve motivarci in ogni gesto. Non c’è una cosa normale in questa regione. Non c’è una cosa che funzioni per davvero.  Abbiamo cominciato a fare il giro della Calabria e abbiamo scoperto come venivano buttati  i soldi dei contribuenti, abbiamo cominciato ad andare a Gerace, dove è stato costruito un ospedale che è costato un sacco di soldi. Non è stato mai aperto, per essere un ricovero per barboni e c’è davanti una struttura dedicata allo spreco. Una sede che doveva essere di forte titolazione per il presidio, per testimoniare nel territorio di Gerace, il patrimonio dell’Unesco.  Da questo monumento, questo spreco, ci siamo spostati nella zona Tirrenica e siamo andati a Rosarno, dove un ospedale costato centinaia e centinaia di milioni, diventato, come dire, devastato dai mafiosi. Una struttura piena di vacche, pecore, che vengono ospitate lì. Siamo poi saliti in altre zone, andati in un altro ospedale che è costato decine di milioni di euro e mai è stato aperto. Sapete perché? Perché hanno fatto le porte così piccole che non ci passano le barelle. Immaginate in che condizione ci troviamo. Siamo risaliti fino a Scalea, dove si trova un ospedale di cinque piani, completamente abbandonato. Sapete com’è che funziona nel nostro paese, nella nostra regione? E’ funzionato così, chi doveva prendere voti in una certa zona faceva costruire un ospedale così impiegava portantini, infermieri, faceva lavorare gli amici delle imprese per fornire cemento, sabbia, per fare questo è servito a questo l’ospedale. In ogni passaggio elettorale costruire un ospedale che servisse a questi scopi. C’era uno scienziato di questi metodi, come dire, un massimo esperto del clientelismo  della sanità in Calabria. Ha un nome che è tutto un programma. Si vantò nelle pagine del Corriere della Sera, in un’intervista storica, per essere stato in Italia l’unico ad aver  inserito il maggior numero di operai. Si chiamava Francesco Martino, chiamato Ciccio Mazzeo, era di Taurianova, è stato condannato di primo e secondo grado per organizzazione criminale. Adesso è morto. A Taurianova gestiva il sistema sanitario in questo modo. Era una parodia della nostra Repubblica, del bene pubblico, di quello che siamo, dello schifo in cui viviamo. Ecco, lui era uno scienziato. […] Questa è la sanità di cui si muore. Nella nostra regione sono stati inoltre impiegati nella sanità molti che hanno studiato male che hanno avuto lauree false. Non sta parlando uno che ce l’ha con i medici in generale, sono nato in una famiglia di medici, immaginate il conflitto di interessi che in questo periodo dimora. Ci sono tanti medici bravi che però, sono costretti ad operare in queste condizioni di grandissima gravità, per cui lavorano male. […] C’è pure un’altra parte comica, che viene raccontata nel libro. Voi dovete immaginare che la Calabria ha un altro record, oltre a quello di avere il maggior numero di ospedali costruiti, vi è quello di essere considerato come se fosse una fabbrica di carte  false. Cioè, vale a dire, che i nostri ospedali pubblici, nelle strutture private, convenzionate operavano signori che non avevano la più pallida idea di cosa fosse il corpo umano. Abbiamo visto la gente che si serve della sanità per guadagnarsi un posto pur non avendo studiato. […] sono famosi i casi di malasanità. Il caso di Federica Monteleone. Una ragazza che viene operata in una sala chirurgica non a norma in cui c’è stata un’interruzione dell’energia elettrica. La ragazza ovviamente ha avuto dei danni cerebrali. Quei medici responsabili della vicenda sono stati condannati in primo e secondo grado ed è toccato pagare fino a perdere il posto. Un anno dopo un’altra ragazza, Eva Ruscio, per un banale intervento di tracheotomia. Questi sono i casi più famosi. C’è il caso di Flavio. Pensate al papà di questo bambino, mentre gioca con l’altalena cade, batte la testa viene portato a Polistena e abbandonato al Pronto soccorso. Questo padre lo vede spegnersi, ogni ora che passa. Voi immaginate la devastante situazione di dolore che ha dovuto subire il padre del bambino. “Mio figlio sta male. Ha qualcosa alla testa portiamolo in un altro ospedale.” “Non c’è l’ambulanza.” Quando vede che la situazione peggiora dice: “Prendiamo un elicottero”. “L’elicottero non vola di sera”. Questo padre è costretto a  prendere questo bambino per tentare, come qualsiasi padre del mondo farebbe, di strapparlo alla morte e lo porta all’ospedale di Reggio Calabria. Non sono riusciti a salvarlo, era troppo tardi, e muore così. I medici responsabili di questo sono stati condannati.

La dimensione di quello che è la nostra sanità, la si presume da un’intercettazione che risale a quattro anni fa. Un politico che chiama un altro politico gli dice: «Ciccio, sto male ho un problema ad una gamba ho deciso di andare dal medico Sempronio, nell’ospedale pinco pallino». E il politico di turno:« No, undi vai? Ca chiddu è nu scemu. Nci l’amu misu nui». Questa è la rappresentazione classica di quello che è la sanità in questo momento in Calabria, di quello che è stato e sarà la sanità in Calabria fino a quando la politica, in questo senso etico assolutamente deprimente, si inserirà  nella gestione delle nostre cose.

…Che sia chiaro: il ricavato di questi libri, va alla fondazione di Natuzza  Evolo. È chiaro? Non prendo una lira. Non ne voglio. Questo libro va in ricavato alla fondazione di cui io sono devoto. Io sono cattolico praticante. Non lo facciamo per soldi.  Chiudo con un bellissimo pensiero di Pier Paolo Pasolini del 1967. «In Calabria è stato commesso il più grave dei delitti, di cui non risponderà mai nessuno: è stata uccisa la speranza pura, quella un po’ anarchica e infantile di chi vivendo prima della storia ha ancora tutta la storia davanti a se ». Non è cambiato niente dal 1964 ad oggi. Grazie.

Attilio Sabato

Attilio Sabato, autore del libro

Annalisa ti devo dire grazie! Grazie, perché ci hai portati qui, per la vostra gente. Non c’è seduto in sala chi può permettersi di andarsene fuori di qui, chi è costretto a lunghi pellegrinaggi per ricevere quello che è diritto, che noi paghiamo due volte. Non c’è quella gente che può spendere soldi, prendere l’aereo e andare a Milano. Dove, pensate, nel 2011 contemporaneamente c’erano 10 mila partenze: l’Asl  più popolosa della Calabria. Ogni anno, vanno via da questa regione per curarsi negli ospedali nel nord e del centro Italia per patologie più strane, anche più insignificanti, quelle che si possono curare anche dal medico di famiglia. Vanno fuori per curarsi. Questo “gioco” ci costa 284 milioni di euro all’anno. Noi non abbiamo strumenti di approfondimento diagnostico degni di questo nome funzionanti. Noi ci siamo fatti tutta la Calabria da nord a sud. Abbiamo visitato tutti gli ospedali. Abbiamo trovato in alcuni scantinati degli ospedali attrezzature mediche abbandonate, mai utilizzate.  Con cittadini costretti a mettersi in fila e aspettare 5 mesi per una risonanza magnetica, 6 mesi per un ecodoppler. Dove viviamo? Ma noi cosa abbiamo fatto? Noi, ci siamo mai indignati? Sapete, per esempio, in Calabria, se il paziente ha necessità di sottoporsi ad una terapia per combattere un tumore. Sapete quanto tempo occorre? 7 Mesi. Come se il paziente potesse aspettare. Mio papà fa dialisi da anni. E’ costretto a sottoporsi a questa cura per tre volte a settimana, fa dialisi in inverno senza termosifoni, d’estate senza aria condizionata. Questo succede nelle nostre strutture, succede che spendiamo una montagna di  soldi, 9 milioni e mezzo di euro all’anno, in strutture. […]  Ci sono centinaia di stanze inutilizzate. Noi paghiamo tutti i servizi. Dobbiamo pagare. La sanità è stata sempre un luogo, una politica utilizzata senza buon senso. I luoghi della sanità, sono luoghi favoriti da stimoli diversi. Quanta gente avete sentito, la prima cosa da fare è mettere mano alla sanità, aboliremo il ticket, daremo una nuova Asl. Sono stati tagliati ospedali. Non ci sono i soldi. Non sono stati attrezzati. Vi dico la situazione che si respira  nella provincia di Cosenza. Con gli ospedali che ci sono, la gente va a finire in Basilicata. Stiamo spendendo dei soldi. Le attrezzature che abbiamo negli ospedali sono antiquate. […]Poi siamo stati attaccati, minacciati, come nemici della Calabria, che non vogliamo bene alla Calabria. Noi non vogliamo bene alla Calabria? Chi ci ha governato cosa ha fatto? Ha voluto bene alla Calabria? Ci hanno restituito una regione vivibile? Una regione che può dirsi moderna, che può dirsi attrezzata per i nostri cittadini? La sanità non funziona. Ogni angolo di questa regione deve inoltre muoversi tra montagne di rifiuti…

Questa è la sanità, l’impatto che noi abbiamo fotografato. Abbiamo voluto che la gente  sapesse come stanno veramente le cose. Dite voi se noi siamo nemici di questa terra. Grazie!

IN BASSO LE IMMAGINI DELLA SERATA SCATTATE DA NANCY RISO

 

 

 

 

 

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