“Superfish” di F. Costa (inedito) – Cap.14

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Fortunato Costa

Il quattordicesimo capitolo del libro “Superfish” di Fortunato Costa (Mario Vallone Editore)

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Capitolo 14

“Il mare non tace mai, nemmeno quando fa silenzio” disse Nicola guardando il golfo di Napoli da Via Petrarca, la lunga strada panoramica che sovrasta Posillipo da dove si gode di un ampio panorama.

Erano andati a fare una passeggiata quella sera malgrado la temperatura fosse un po’ rigida.

Erano entrati al bar con la terrazza su Piazza San Luigi ed avevano sorbito una magnifica cioccolata calda, fumante; poi avevano ripreso a camminare fino a raggiungere Mergellina passando per Via Orazio.

Le barche ormeggiate al porticciolo ondeggiavano dolcemente sotto le stelle ed un traffico stranamente pigro tingeva di luci bianche e rosse il lungomare.

Il cellulare di Nicola squillò e vibrò.

“Pronto, Eros?”

“Ciao amico mio. Sono tornato, proprio in questo momento sono entrato in casa. Dove sei?”

“A Napoli, sto facendo una passeggiata con Sabrina. Lei ti saluta. Com’è andata? Ho visto le foto; sono magnifiche. Vi siete divertiti un bel po’…”

“Si, è stato un viaggio di quelli che ti apre la mente ed il cuore. Ma mi sei mancato, ad onor del vero. Quando torni nella tua città natale?”

“Non saprei; settimana prossima partiamo anche noi. Parigi. Ma non so dirti altro perché ha organizzato tutto Sabri. Probabilmente tra tre settimane, se tutto gira come dovrebbe. Voi tutti bene?”

“Evelyn si è ripresa, se è questo che vuoi sapere. I miei genitori sono inossidabili ed imperturbabili, al meglio. Ed io…io sono sempre incasinato ma mi sembra di migliorare psicologicamente. Solo che ancora non ho capito cosa farò da grande. Cioè: non so dove mi condurranno queste nuove capacità che ho acquisito grazie a quel maledetto pesce palla. E’ complicato, Nico.”

“Mi rendo conto, Eros. Prendila con calma, vedrai che tutto si aggiusterà. E’ come se tu dovessi imparare nuovamente a camminare o a mangiare, come un neonato. Io sono qua e ci sarò sempre per te. Se hai voglia passa a trovarmi qui a Napoli. Per caso hai visto Caterina? Hai visto come si è conciata?”

“No, vista no. Ma Evelyn mi ha detto qualcosa e non ne sono rimasto granché contento. Speriamo bene, per tutti noi. Ti abbraccio. Ci sentiamo.”

“Posso parlare con suo figlio?”

Il pescatore, il padre di Romania, la bambina salvata dall’annegamento da Eros, era fuori del negozio dei Caroni e si torceva le mani. La sigaretta quasi spenta gli pendeva tra le labbra e la barba ispida gli conferiva un’aria da vero lupo di mare.

“Spero non ci siano problemi. Non vorrei esser costretto a chiamare la polizia…” disse Antonio Caroni guardando duramente l’uomo.

“No, nessun problema Caroni, figuriamoci! Proprio con suo figlio che ha salvato la mia Romania? Vorrei chiedergli una cosa così, se è possibile” rispose il pescatore.

“Ciao Eros, scusa il disturbo. Io mi chiamo Francesco, Cicco per gli amici. Tu puoi chiamarmi Cicco. Ci prendiamo un caffè? Dai, così parliamo un po’”

Si recarono al Bar Centrale e sedettero ad un tavolino d’angolo; ordinarono due caffè e dell’acqua minerale. Cicco accese una sigaretta e guardò Eros con i suoi occhi verdi e profondi.

“Ho bisogno del tuo aiuto. Lo sappiamo tutti qui a Tropea che tu nuoti meglio di un pesce e che sei capace di fare cose inaudite. Sei disposto ad aiutarmi?”

“Se non so prima in cosa consiste la tua richiesta come posso risponderti seriamente?”

“Hai ragione. Ora ti spiego. Abbiamo perso una rete al largo di Tropea, non la troviamo più. E’ una rete derivante, una spadara. Lo so, è vietata ma non si pesca niente, dobbiamo sopravvivere. E’ lunga chilometri, ed è costosa. Se non la recupero siamo rovinati, capisci? A nostro avviso dei cetacei sono rimasti impigliati e l’hanno distrutta o l’hanno trascinata via. Purtroppo i nostri ecoscandagli raggiungono solo una certa profondità e non riusciamo a localizzarla. Se ci dai una mano tu magari…”

“Mi stai chiedendo di aiutarti nella pesca di frodo, ti rendi conto?”

“Mi rendo conto, si. Ma sono disperato, non so cosa altro fare. Se non la recupero non posso finire di pagare le rate della barca, il porto, le tasse, la scuola. Vado a finire in mezzo alla strada…”

“Se mi prometti che la rivendi e non la piazzi più, ti aiuto” disse Eros girando il cucchiaino nella tazza di caffè per sciogliere lo zucchero di canna.

“Ma…io…va bene, ti prometto che la vendo e non lo faccio più. Allora: mi aiuti?”

“Si. Quando?”

“Oggi. Bisogna fare in fretta. La corrente è forte e sarà già un problema così; se poi facciamo passare altro tempo non troviamo più niente.”

Alle 15,00 il peschereccio mollò gli ormeggi ed uscì lentamente dal porto di Tropea. Il mare quasi calmo ed una brezza sottile erano condizioni essenziali per una proficua ricerca ed in poco più di un quarto d’ora furono sul punto dove si supponeva potessero trovarsi le reti.

L’ecoscandaglio segnava 240 metri di profondità e lo strumento leggeva solo a tratti il fondale, sia per il rollio ed il beccheggio che per la scarsa qualità intrinseca dell’apparecchiatura.

Eros si immerse nell’acqua gelata e, dopo aver fatto un cenno di saluto all’equipaggio, si inabissò. Era legato ad una cima con un moschettone che sarebbe tornato utile per collegare la rete e recuperarla. Nella cintura era infilato anche un robusto coltello da sub, per qualsiasi evenienza.

Eros scomparve nel profondo blu. Francesco, allibito, aiutava la discesa dipanando la cima che scendeva a velocità vertiginosa verso il fondo.

Eros attraversò un immenso banco di barracuda che lo guardarono sorpresi prima di scostarsi, aprendosi come un fuoco d’artificio.

Quando il ragazzo giunse in prossimità del fondo si guardò intorno e prese a nuotare lentamente, osservato con attenzione da una cernia che stazionava sospettosa all’ingresso di una grossa tana.

La corrente era abbastanza forte ed Eros si lasciò istintivamente trasportare a peso morto, intuendo che seguendola avrebbe prima o poi trovato qualcosa.

E qualcosa trovò.

Un’orca si era impigliata nella rete e fluttuava nella corrente; l’animale, completamente avvolto nelle robuste maglie, giaceva ad una decina di metri dal fondo con la enorme bocca spalancata. Intorno alla carcassa numerosi pesci di piccole e medie dimensioni stazionavano curiosi, forse in attesa di cibarsene.

Lavorando di coltello Eros riuscì a liberare l’orca, un grosso maschio, e ad agganciare al moschettone il lungo spezzone di rete che sembrava non finire mai. Diede due violenti strattoni sulla cima ed attese, paziente, fino a che non cominciò il recupero. Sotto i suoi occhi fosforescenti passarono centinaia di metri di rete nelle cui maglie giacevano pesci di svariate dimensioni, tra cui un pesce spada sugli ottanta chili, due tonni oltre i cento chili, cernie, tonnetti, pesci castagna, un pesce San Pietro ed altre specie. Visto che la rete non opponeva resistenza alla risalita si staccò dal fondo e cominciò a riguadagnare la superficie, lentamente per via di un dolore al fianco sinistro dov’era la cicatrice.

Quando riemerse il peschereccio era lontano un centinaio di metri e c’era fermento a bordo. Venne aiutato da Francesco in persona a guadagnare il ponte accolto dall’applauso dell’equipaggio.

Gli vennero porte subito una coperta per asciugarsi ed una tazza di caffè bollente comparsa dal cucinino. Intanto la rete si ammucchiava sulla prua dell’imbarcazione.

Eros spiegò cos’era successo e Francesco lo ascoltò ipnotizzato, senza dire mezza parola, sussultando solo al sentire la parola ‘orca’.

“Torniamo; si sta facendo buio e il ragazzo deve andare a casa per riscaldarsi un poco” disse Francesco agli altri.

Quella sera stessa un pescatore si presentò a casa Caroni portando in dono mezzo pesce spada ed un tonno di cinquanta chili che lasciò fuori della porta di casa. Bussò e scappò via senza dare loro il tempo neanche di ringraziarlo. Gente semplice, di cuore.

“Com’è Parigi?” chiese Eros mentre sorseggiava la sua birra rossa a chilometri zero.

“Parigi è una bella donna, profumata ed incomprensibile, bella e prorompente, ricca di storia, multiculturale, multietnica, la capitale dell’arte, una bellezza insomma!” rispose Nicola.

“Bello il profumo che mi hai regalato. Dove l’hai preso?”

“Al piano terra delle gallerie Lafayette. Sono contento che ti piaccia. Sai quante conquiste farai adesso?”

Eros poi raccontò per filo e per segno l’ultima avventura all’amico che, dopo averlo ascoltato con attenzione, disse:

“Devi stare attento a non farti coinvolgere più di tanto. Le richieste potrebbero essere via via più compromettenti, devi andare con i piedi di piombo, mi spiego?”

“Non succederà più, stanne pur certo. Mi sembrava un’occasione buona per aiutare Francesco e strappargli la promessa che poi mi ha fatto di non usare più quella rete vietatissima.”

“Sarà…speriamo bene. Speriamo che nessuno metta gli occhi su di te!”

Parole profetiche.

“Pronto, Nicola? Hai visto Eros?”

Valentina aveva la voce preoccupata.

“No, Valentina. Non lo vedo e non lo sento da almeno una settimana. Non dirmi che è scomparso di nuovo…”

“E invece si, scomparso di nuovo. Siamo agitatissimi. Non risponde al telefono, qui a Tropea nessuno l’ha visto e manca da due giorni. Non vorrei che gli fosse capitato qualcosa di grave come l’altra volta” disse piangendo la mamma dell’amico.

“Hai chiesto ai pescatori? Avete informato la capitaneria di porto?”

“Si, abbiamo battuto tutte le strade percorribili ma di Eros non sa niente nessuno. Quando vieni a Tropea?”

“Oggi stesso parto, non preoccuparti. Cerca di stare calma, ci inventeremo qualcosa e lo scoveremo.”

Il giorno seguente Nicola si recò al negozio dei Caroni. Erano tutti lì, tutti tranne Eros. Dopo un primo saluto imbarazzato Antonio prese il ricercatore in disparte e gli fece cenno di non dire niente. Poi, ad alta voce: “Andiamo a prendere un caffè al bar Centrale, vieni.”

Una volta sedutisi, lontano da orecchie indiscrete, Antonio disse sottovoce: “Siamo in un casino grosso come un castello!”

Nicola lo guardò interdetto, con un grosso punto interrogativo negli occhi.

“Hanno preso Eros.”

“Chi…?”

“Non lo so. Mi hanno contattato per telefono chiedendomi di incontrarci stamattina al porto verso le dieci, cioè tra mezz’ora. Mi hanno fatto capire qualcosa, ma niente di esplicito per telefono. Vuoi venire?”

“Certo. Ma…non hai idea di chi possa essere?”

“No, non ne ho proprio nessuna idea. Vedremo cosa vogliono, forse un riscatto. Sai sono un gioielliere, magari pensano che nuotiamo nell’oro e vogliono sfruttare l’occasione.”

“Hai avvertito la polizia?”

“No. Meglio capire prima la situazione e poi agire di conseguenza. Andiamo, dai” disse Antonio alzandosi e chiamando il cameriere per pagare il conto.

Raggiunsero il porto di Tropea in pochi minuti, percorrendo la strada tortuosa e panoramica senza incrociare altri veicoli nei tornanti, parcheggiarono a circa cinquanta metri dall’ingresso principale ed attesero.

Alle dieci esatte un grosso SUV nero con i vetri oscurati si avvicinò lentamente, passò loro davanti, fece inversione poco lontano e parcheggiò ad un centinaio di metri. Poi lampeggiò tre volte per fare loro segno di avvicinarsi.

Quando furono a pochi metri dall’auto si aprirono tre portiere contemporaneamente e scesero tre uomini vestiti in modo ordinario, con gli occhiali da sole sul naso ed i berretti di lana.

Vestiti neri e cravatte nere si vedono solo nei film come Matrix, pensò Nicola.

“Come mai lui è qui?” chiese il più basso dei tre.

“Si è offerto di accompagnarmi, se per voi non è un problema” rispose Antonio.

“Il dottore non è un problema, sappiamo bene chi è. Entrate in macchina.” Gli furono sottratti i cellulari, spenti e chiusi in uno shopper di plastica che finì nel retro del bagagliaio.

Il SUV partì a tutta velocità e si diresse verso nord lungo la strada costiera. Dopo una decina di chilometri svoltò a destra per una strada tutta curve e dopo due chilometri di salita si avventurò per uno sterrato.

Dopo altri tre chilometri percorsi su strade non asfaltate giunsero ad un casolare di campagna mal ridotto. Dal posto si godeva di un panorama invidiabile che abbracciava gran parte della costa degli Dei.

“Scendete” furono le uniche parole che pronunciò il tipo basso di statura.

Li fecero entrare in casa e sedere su delle vecchie sedie impagliate, in parte sfondate.

Dopo due minuti il tipo basso tornò in compagnia di Eros.

Il ragazzo era smagrito, con la barba lunga ed i vestiti sporchi. Le profonde occhiaie tradivano mancanza di sonno.

“Papà…Nico!”

“Siediti e fai silenzio!” disse il tipo tarchiato facendolo sedere di schianto.

Sentirono il rumore di un’auto che frenava nello spiazzo antistante la casa, una portiera sbattere, la porta che si apriva cigolando sui cardini arrugginiti.

“Buongiorno a tutti.” Il tipo tarchiato si avvicinò e baciò la mano del nuovo arrivato con deferenza.

Il boss era un uomo alto e magro, elegantissimo e profumato, sui cinquanta, con le mani curate ed un grosso brillante all’anulare della mano destra.

Anche i moscerini smisero di volare. Non tolse gli occhiali neri che celavano gli occhi.

“Eros, come stai? Guarda quanto chiasso stai facendo per una stupidaggine che si poteva risolvere in mezza giornata. Si poteva concludere la questione senza nessun dolore. Ci stai facendo perdere tempo, il tempo è denaro, il denaro non è mai abbastanza. Ti avevamo fatto un’offerta vantaggiosa per una quisquilia, un minimo impegno.

Ma tu sei testardo. Sei calabrese, con la testa dura. Come me.”

Da un portasigarette d’oro tirò fuori una sigaretta senza filtro e l’accese con una accendino costoso.

“La vuoi fare questa cosa? Poi ti lasciamo in pace, parola d’onore.

Caroni: lo convinca lei. Io mi vado a fare un giro in campagna, qui attorno. Torno tra mezz’ora. Lascio un uomo di guardia fuori. Non fate scherzi, non vi conviene; siete dei dilettanti ed il rischio di rimanere zoppi è alto per i tipi come voi. Mi sono spiegato?”

Fece un cenno con la mano e tutti gli scagnozzi lo seguirono fuori della porta, il tipo tarchiato per ultimo.

“Che succede Eros?” Antonio andò ad abbracciare il figlio.

“Vogliono che io vada sull’Adriatico a recuperare qualcosa sul fondo. Mi hanno detto che c’è stato un incidente aereo e della roba è depositata sul fondo del mare; mi hanno offerto diecimila euro se faccio questo recupero per loro. Ma io ho paura. Questi non scherzano” disse Eros rivolgendosi alternativamente al padre ed all’amico.

“Abbiamo alternative?” disse tristemente Antonio.

“Questi sono professionisti, non hai visto come sono organizzati?” mormorò Nicola mordendosi il labbro.

“Che devo fare?” chiese Eros tormentandosi le mani.

“Devi farlo; questi sanno tutto di noi. Possono distruggerci, annientarci. Pensa a tua madre, a tua sorella…”

“Ed avvisare la polizia? Non sarebbe meglio farci aiutare dalle forze dell’ordine?”

“Non in questo caso. Non sappiamo niente, non conosciamo nessuno, non sappiamo nemmeno di che si tratta…”

“Ma tu potresti parlare con quel tenente, De Masi!” disse Nicola.

“Potrei parlare con un mucchio di gente. E poi? Magari arrestano qualcuno, quel qualcuno esce per decorrenza dei termini o fa qualche mese di galera e poi la grana resta a noi. Dovremmo vendere tutto e scomparire in un altro paese. Eros: fallo e basta, tiriamoci fuori da questo casino.”

“Vuol dire che lo farò. Ma ho paura. Tu parla con De Masi ugualmente, in via confidenziale, non ufficialmente. Chiedigli informazioni come se stessi parlando di qualcuno che conosci e non di me” disse Eros.

Rimasero in silenzio, ciascuno immerso nei propri tetri pensieri, fino a quando la porta si riaprì ed il boss rientrò. Da solo.

“Allora? Che mi dici Eros? Mi vuoi fare contento?”

“Va bene, lo faccio. Ma mi date la vostra parola che non succederà niente alla mia famiglia e che dopo non mi chiederete più nulla?”

“Ti do la mia parola d’onore. E per dimostrarti la mia buona fede ora ve ne andate tutti a casa. Settimana prossima ci farai questo favore e poi non ci vedremo più. Se lavorerai bene ti faremo avere anche più di diecimila in contanti. Sei contento? Ora andate e non parlatene con nessuno.”

Furono riaccompagnati al porto, gli vennero restituiti i telefoni ed il SUV scomparve così come era apparso.

“Dove sei stato?” Valentina abbracciò Eros sollevata, guardandolo poi con apprensione quando si rese conto che era tutto sporco e puzzava.

“Ho fatto una passeggiata sui monti e sono caduto in una scarpata, piena di rovi. Ho perso il cellulare e non potevo avvisare nessuno di voi. Mi ha ritrovato un pastore che mi ha portato in salvo. Mi ha prestato il telefono, ho chiamato papà ed eccoci qua” disse Eros recitando a memoria la storia che si erano inventati di comune accordo.

“Tu mi farai morire!” disse Valentina soffocando un singhiozzo.

“Ora sei a casa e questo è tutto ciò che conta, fratellino” disse Evelyn, sempre pronta a difenderlo.

Antonio quella sera stessa telefonò a De Masi.

“Pronto, tenente De Masi? Mi scusi se la disturbo. Sono Caroni, di Tropea, si ricorda di me?”

“Ma certamente. Come sta Eros?”

“Molto meglio, grazie. Le telefono perché vorrei alcuni chiarimenti su di una questione un po’ delicata che mi piacerebbe approfondire. Quando potremmo vederci?”

“Domani vengo a Vibo Marina, alla capitaneria di porto, per sbrigare alcune faccende che richiedono la mia presenza. Potremmo incontrarci nel pomeriggio e fare una passeggiata insieme, prendere un caffè.”

“Ottimo. Ci vediamo al bar del porto alle 16,00?”

“Benissimo. Arrivederci e saluti ad Eros!”

Il giorno seguente, dopo una cordiale stretta di mano, De Masi e Caroni si incamminarono lungo il porto chiacchierando.

“La disturbo perché un mio amico pugliese ha avuto un problema con della brutta gente e vorrebbe vederci chiaro. Lui abita nel Salento, ed un giorno si è trovato coinvolto in una strana storia. Forse ha visto troppo, forse ha parlato troppo, ed ora è stato minacciato da un losco figuro. E’ in forte apprensione, ha una famiglia, un’attività ben avviata ed ha paura di qualche pesante ritorsione.”

“Di che si tratta? Avrei bisogno di sapere qualcosa di più…”

“Si tratta di un carico sospetto caduto in mare e recuperato all’alba. Lui era presente per sfortuna, ha visto tutto e l’hanno minacciato. Crede che si tratti di droga.”

“Purtroppo il traffico di droga nell’Adriatico è un grosso problema. Gli stupefacenti viaggiano in diversi modi, provenienti principalmente dall’Albania che è il paese di stoccaggio e di smistamento. Il traffico avviene via mare, senza alcun dubbio, ed è gestito dalla mafia foggiana, garganica ed albanese in genere. Gli sbarchi avvengono in Puglia, in Molise, in Abbruzzo, nelle Marche ed in Emilia Romagna. Utilizzano ogni mezzo disponibile che galleggi sul mare, in genere motoscafi velocissimi. Ma il traffico avviene anche su ruota; i camion sbarcano in uno di questi porti e raggiungono il Veneto, la Lombardia…”

“Quindi ci sarà stato un incidente di percorso con un motoscafo che trasportava droga e l’hanno recuperata” disse Caroni.

“Non solo. Recentemente si sono organizzati anche con il traffico aereo. Utilizzano voli turistici, aerei leggeri come i Cessna 172 od i Piper modificati per ampliarne il carico, volano intorno ai 450 metri per fregare i rilevamenti radar e dispongono di una fitta rete di aviosuperfici o piccole piste di atterraggio. Bastano 400 metri di campo rasato delimitato da fiaccole per atterraggi notturni ed il gioco è fatto. E’ una rete di proporzioni inverosimili: Marocco, Spagna, Francia, Inghilterra, Olanda. In Italia settentrionale dispongono di almeno 150 piccoli aeroporti dedicati. In un anno sono capaci di muovere svariate tonnellate di droga: hashish, marijuana, cocaina, eroina sistemati in sacchi resistenti all’acqua. Un disastro.”

“Potrebbe essere stato anche un volo finito male!” soggiunse Antonio.

“Senza dubbio, Caroni. Da Tirana il tragitto è breve per la costa pugliese e non sempre possono disporre di piloti ben addestrati.”

“Bene, ora so qualcosa di più e lo riferirò al mio amico sperando possa tornargli utile.”

“Dica al suo amico di muoversi con cautela e di non rischiare troppo agendo da solo. Denunciare è sempre la strada migliore perché i professionisti dispongono di mezzi e capacità notevoli. La guerra al narco traffico non è una sciocchezza. Mi sono spiegato? Potrebbe rischiare anche un’accusa di connivenza e di favoreggiamento. Bloccare questo traffico iniquo è un preciso dovere e ci coinvolge tutti. Ne va del futuro dei nostri giovani, del nostro paese.”

“Ho capito e riferirò. Grazie mille; ancora una volta devo rimarcare la sua estrema gentilezza e la sua squisita professionalità.”

Caroni non ebbe il coraggio di dire tutta la verità e, dopo aver salutato il tenente De Masi, se ne tornò a Tropea rabbuiato e con il cuore pesante.

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