“Superfish” di F. Costa (inedito) – Cap.1

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Fortunato Costa

Su proposta del mio carissimo amico dott. Fortunato Costa, col quale finora abbiamo realizzato ben tre libri (vai alle schede dei volumi), abbiamo deciso di pubblicare qui, sulle pagine di questo blog,  a puntate, un suo romanzo inedito intitolato Superfish. Il libro è in parte ambientato nel circondario di Tropea-Capo Vaticano.

Di seguito il primo capitolo.

Buona lettura.

MarioVallone

“Dov’è?”

La porta del reparto di terapia intensiva dell’Ospedale del Mare si spalancò di colpo e le parole risuonarono come uno sparo tra le pareti di un canyon nel reparto silenzioso, ancora immerso nella quiete delle  prime ore del mattino.

“Signore! Signore: dove crede di andare? Ma è ammattito?” Un giovane infermiere con la divisa di colore azzurro pallido gli si parò davanti guardandolo con occhi assonnati e stanchi dopo il lungo, laborioso turno notturno.

“Dov’è Eros? Dove l’avete messo?”

“Signore, si calmi e mi segua. Lei sta urlando ed in questo reparto non è consentito fare schiamazzi. Le sembra questo il modo?”

“Mi scusi, non volevo…Sono preoccupato, sono stanco. Vengo da Napoli ed ho viaggiato in macchina, di notte, per essere qui il prima possibile. Sono il dottor Nicola di Costanzo, un biologo marino. Sto cercando Eros Caroni, mi hanno comunicato che è ricoverato qui ed è in coma. Non ci posso credere! E’ così?”

“La accompagno nello studio del medico di turno. Venga.”

Dopo aver bussato alla porta del medico di guardia ed aver ottenuto l’invito ad entrare, Nicola si trovò davanti ad un medico di mezza età, stempiato e con il camice stropicciato, il fonendo al collo ed il taschino del camice rigonfio di agocannule di vari colori e misure.

“Che succede? Chi è lei?” chiese il medico un po’ infastidito dall’intrusione inattesa.

“Le chiedo scusa, dottore. Ho saputo ieri sera che il mio più caro amico, Eros Caroni, è stato ricoverato nel suo reparto in gravi condizioni ed ho viaggiato tutta la notte per essere qui e vederlo…”

“Caroni? Si, è stato portato qui ieri sera dal 118. Un quadro clinico ingravescente e misterioso. Siamo perplessi. Stiamo facendo il possibile per tirarlo fuori dallo stato di shock evidente ma il paziente sembra peggiorare inspiegabilmente. L’hanno trovato privo di sensi ieri sulla spiaggia di Grotticelle, a Capo Vaticano. Aveva accanto la maschera, il tubo da snorkeling ed una rete portapesci da sub con uno strano esemplare di pesce. Qualcuno mi ha detto che sembrava un pesce palla. Ma non è possibile! Non ci sono i pesci palla da queste parti…”

“Io non mi sono ancora presentato: Nicola di Costanzo, sono un biologo marino e lavoro presso la Stazione Zoologica ‘Anton Dohrn’ di Napoli dove mi occupo di vari studi sugli animali marini. Le posso assicurare che il pesce palla è ormai presente nel Mediterraneo e che il canale di Suez ci sta regalando diverse sorprese già da molti anni.

Posso vederlo?”

“Il pesce?”

“No, Eros!”

“Ah, il paziente. Non so a che cosa possa servirle vedere il suo amico disteso in un letto senza conoscenza ma la farò contento ugualmente. Indossi queste e mi segua” disse il medico porgendogli un paio di soprascarpe di colore verdino.

Eros era disteso in un grosso letto ricco di congegni metallici per articolarlo, circondato da monitor ed apparecchiature su carrello per il monitoraggio delle funzioni vitali.

Il catetere fuoriusciva dal lenzuolo e finiva in una sacca ripiena per metà di urina di colore paglierino, una fleboclisi scandiva lentamente il tempo goccia a goccia, la linea colorata dell’elettrocardiogramma scivolava all’infinito sullo schermo del monitor ed il respiratore della ventilazione assistita incerottato sul viso era il tocco finale che conferiva alla scena un certo non so che di surreale.

I lunghi capelli biondi di Eros erano stati raccolti in una coda; le mani erano pallide ed inerti. Gli erano stati rimossi gli anelli ed il braccialetto che era solito indossare insieme all’orologio regalatogli dal nonno, un magnifico diver automatico da cui non si separava mai.

A Nicola vennero le lacrime agli occhi. In un lampo ripercorse tutti gli anni passati insieme all’amico; la scuola, le ragazze, il mare, le risate, le difficoltà ed i traguardi tagliati insieme. Per un attimo desiderò essere Dio per poter dire a quella sagoma inerte “Sorgi!”.

“Eros? Mi senti? Se mi senti apri gli occhi o muovi un dito!” disse accarezzandogli la mano.

Non successe nulla.

“Non può sentirla, almeno per il momento. Il punteggio della scala Glasgow, un 6 all’ingresso, era nettamente sfavorevole già all’arrivo.

Ci stiamo spremendo le meningi per capire che cosa è successo. La TC del cranio, torace e addome non ha rivelato niente. Unici dati di una certa rilevanza sono la bassa frequenza cardiaca e la difficoltà respiratoria ingravescente. E’ come se fosse gravemente intossicato…”

“Tetrodotossina!”

“Come prego?”

“La neurotossina del pesce palla, la Tetrodotossina. Non può essere altro.”

“In effetti ci avevo pensato ma mi sembrava improbabile non sapendo che quei pesci ci fossero nei nostri mari ma se lei mi dice che sono arrivati fino a qui…”

“Avete esaminato la pelle delle mani e delle braccia? Avete trovato punture, morsi…”

“Sulle mani erano presenti delle piccole ferite ma abbiamo ritenuto fossero dovute ad abrasioni procurate dagli scogli molto taglienti che sono numerosissimi a Grotticelle.”

“Fidatevi di me. E’ la neurotossina, senza dubbio. Ma che cosa ti è venuto in mente, amico mio? Ne avevamo parlato tante volte. Pensi che avevamo addirittura deciso di sfidare la sorte andando a mangiare il Fugu Sashimi insieme, una di queste volte. Ma avevamo sempre rimandato; a Napoli c’è un cuoco giapponese che conosco e che più volte mi ha sfidato ad assaggiare quella leccornia, a suo dire.”

“Vuol farmi credere che la gente mangia carne di pesce velenoso e la trova anche gustosa?” chiese il medico spalancando gli occhi.

“Non è così semplice, dottore. Il veleno dei pesci tetraodontidi, detti così perché hanno quattro robusti denti anteriori a forma di becco con cui triturano coralli e conchiglie, si accumula nel fegato, nelle ovaie e nella pelle. In Giappone è tradizione assumere carne di pesce palla; ma la ricetta è affidata solo a cuochi che hanno ricevuto un addestramento superspecializzato ed autorizzato dal ministero competente. Il consumo di questa carne è vietata in Europa, credo dal 2004 in base ad un regolamento CE. Pensi che alcuni cuochi sono tanto bravi da riuscire a lasciare solo una piccola quantità di tossina nelle carni, tale da provocare una lieve euforia nel consumatore.”

“La lascio qui da solo, dottor Di Costanzo. Vado subito al computer ad aggiornarmi su questo argomento che mi è quasi del tutto sconosciuto. Resti pure ancora per un po’. Alle 8 cominciano le pulizie del reparto e la pregherei di andarsene per quell’ora. Si faccia vivo presto perché ho la netta sensazione che in questo caso avremo bisogno delle sue competenze. Ora mi scusi” disse il medico dirigendosi in fretta verso il suo studio.

Nicola rimase in piedi accanto al letto dove Eros era sprofondato in una immobilità sconcertante e cominciò ad esaminargli le mani.

Il morso era proprio lì, tra indice e pollice, ed una sottile crosticina si era già formata. Ma numerose punture erano presenti sul palmo delle mani a testimoniare il fatto che Eros aveva tenuto stretto senza alcuna precauzione il pesce palla, provocandosi quelle ferite ed intossicandosi.

“Perché? Che cosa ti è passato per la testa? Eppure lo sapevi, lo sapevi bene. Testa dura! Non morire, ti prego, resisti. Se riesci a sentirmi sappi che ti voglio bene e che la vita non sarebbe più la stessa per tutti noi se tu non ce la facessi. Torna tra noi, ti prego!”

Dopo avergli fatto una carezza ed aggiustato le lenzuola, Nicola si avviò tristemente verso l’uscita salutando distrattamente il personale indaffarato che incontrava. Depose i soprascarpa nell’apposito contenitore ed aprì la porta andando quasi a scontrarsi con Evelyn e Caterina.

“Nicola! Quando sei arrivato?” gli disse Evelyn buttandogli le braccia al collo e stringendolo con affetto. La sorella di Eros, una magnifica ragazza bionda di 20 anni, alta come lui, gli sorrise mentre le si riempivano gli occhi di lacrime per l’emozione.

Anche Caterina, la ragazza di Eros, lo abbracciò; era distrutta. Spettinata, struccata, con gli occhi gonfi di pianto, disordinata e preoccupata: non l’aveva mai vista in quello stato.

“Sono arrivato alle 6,30 di questa mattina e mi sono precipitato qui.

Eros è in coma. Sono sconvolto!”

 “Hai saputo qualcosa? Hai parlato con qualcuno?”

“Si ma ne sanno meno di me in questa circostanza, a quanto pare. Chi l’ha trovato?”

“L’ho trovato io” disse Caterina. “Ieri mattina era andato a fare diving, lo sai che la mattina del sabato lo fa sempre. Verso mezzogiorno mi ha inviato un messaggio in cui diceva di non sentirsi molto bene, di raggiungerlo a Grotticelle con l’auto perché non se la sentiva di tornare con la vespa per via delle vertigini. Ma sembrava contento; mi ha detto di aver trovato un pesce strano e di averlo conservato per te, per mostrartelo nel caso si fosse rivelato utile per i tuoi studi.

Quando sono giunta sulla spiaggia era l’una; l’ho trovato disteso e faticava a respirare, era intontito e non riusciva a parlare correttamente. Si sentiva le labbra intorpidite, la lingua stranamente gonfia e faticava a mettersi in piedi. Poi gli è venuto un gran mal di testa ed è crollato esanime. Ho avuto tanta paura, Nicola. Sono ancora scioccata ed incredula. Ho chiamato il 118 ed eccoci qua. Tu credi che il pesce c’entri qualcosa?”

“Ne sono più che sicuro, Caterina. Possiamo solo pregare e sperare, a questo punto. Il medico con cui ho parlato già si sta dando da fare, mi sembra uno in gamba. In qualche modo ne verremo fuori. I genitori come l’hanno presa?”

“Papà e mamma sono paralizzati dalla paura. Si sono chiusi in un mutismo inespugnabile e da ieri sera non dicono mezza parola. Sono terrorizzati all’idea di perdere Eros” disse Evelyn asciugandosi le lacrime spuntate spontaneamente dagli occhi.

Si abbracciarono tutti e tre traendo conforto da quel contatto almeno per un momento.

“In qualche modo faremo, vedrete. Non lascerò che Eros muoia in questo modo: non esiste!” disse Nicola. Poi aggiunse:

“Ho bisogno di prendere un caffè; accompagnatemi al bar e poi torniamo.”

Il bar dell’ospedale era affollato; il banco era preso d’assalto da quelli che stavano per iniziare il turno e quelli che smontavano dopo la notte. Decine di tazze di caffè fumante già pronte, rumore di piattini e cucchiaini e quell’inconfondibile odore di cornetto caldo erano la trama del solito film che si proiettava ogni mattina sul set del bar.

Attesero che si liberasse uno dei tavolini rotondi, piccoli e scomodi, e sedettero pesantemente. Evelyn si occupò dei caffè inoltrandosi coraggiosamente nella ressa, favorita dalla sua prorompente avvenenza che attirò numerosi sguardi compiaciuti e le facilitò il compito non poco.

Il caffè non era gran che ma sortì il suo effetto; Nicola si sentì rivitalizzato e la nebbia della stanchezza si dileguò lasciandogli la mente sgombra.

“Più tardi torno su in terapia intensiva e vado a verificare a che punto è il piano terapeutico del medico con cui ho parlato. Ci sarà qualcosa da fare ora che è stata identificata la causa!” disse Nicola guardando Caterina ed Evelyn alternativamente.

“Ti prego, Nico: non lasciare che succeda qualcosa ad Eros. Abbiamo fiducia in te, conosciamo le tue qualità intellettuali ed il forte legame che ti lega a tutti noi.”

“In qualche modo faremo. Perché non vai a casa a dire ai tuoi che sono arrivato e che mi sto interessando della vicenda, Evelyn? Magari si tranquillizzano un poco, si rasserenano…”

“Gli telefono subito. Ma voglio restare qui con te” disse Evelyn tirando fuori dalla borsa lo smartphone ed allontanandosi dal chiasso del bar per telefonare ai genitori ed aggiornarli.

“Evelyn è cresciuta” disse Caterina guardando Nicola in un certo modo.

“Eh si, è diventata una donna, ed è bellissima!” soggiunse Nicola rigirandosi tra le mani la tazzina vuota.

“Ed è innamorata di te, questo lo sai vero?”

“Tu dici? Ma se l’ho vista nascere, si può dire…”

“E con questo? Le cose cambiano, la terra gira e non si può fermare.

Non capisco cosa aspetti.”

“Mi sembra di fare un torto ad Eros, ai suoi genitori, non so spiegarmi meglio. Non vorrei combinare un guaio irreparabile. Se le cose non andassero per il verso giusto perderei il mio migliore amico e tutti voi.”

“Non dire sciocchezze, Nico. Cosa c’entriamo noi in una eventualità del genere? Cerca di tenere separate le due cose come è giusto che sia. Ma forse questo non è il momento più adatto per parlarne…”

“I miei ti salutano e ti ringraziano infinitamente. Per loro sapere che sei qui è un grande conforto. Ci raggiungeranno tra poco. Un altro caffè prima di tornare su?” disse Evelyn riponendo il telefono nella borsa e raggiungendo nuovamente il banco senza attendere la risposta.

Nicola trovò il medico completamente immerso nella lettura di articoli  e pubblicazioni scientifiche sulla tetrodotossina reperiti in rete su vari siti.

“Ah, sei tornato. Diamoci del tu, vuoi? Nicola hai detto, vero? Io mi chiamo Mimmo. Ho stampato un po’ di materiale sull’argomento. Accidenti a questa stampante: mi fa perdere sempre la pazienza. Una volta si incastrano i fogli, l’altra finisce il toner, un’altra ancora mancano i fogli formato A4 e devo perdere sempre un sacco di tempo.

Come Dio vuole sono riuscito a stampare qualcosa di interessante. Ora vado subito a modificare la terapia per il tuo amico sperando di ottenere qualcosa in tempi brevi. Nel frattempo puoi darci un’occhiata e poi comunicarmi le tue impressioni. A tra poco.”

Le pubblicazioni descrivevano il meccanismo d’azione della tetrodotossina e di tossine analoghe presenti in altri animali marini come conchiglie, stelle marine e polpi dagli anelli blu.

Il blocco dei canali voltaggio del sodio e del calcio delle membrane cellulari era presente in quasi tutti i casi e le dosi di tossina capaci di uccidere un uomo di 75 kg erano veramente basse, dell’ordine di 2 milligrammi se ingerita ma di 8 microgrammi se iniettata per via endovenosa . La tossicità della tetrodotossina, in particolare, era 100 volte maggiore del cianuro di potassio ed almeno cinque volte quella del veleno della vedova nera. Caspita!

In una pubblicazione era riportato chiaramente che non esistevano antidoti al momento. Bella storia!

Altri articoli riportavano esempi di casi, rari, in cui la terapia era risultata efficace e descrivevano di volta in volta gli stratagemmi adoperati dai medici per condurre in salvo il paziente intossicato.

Un caso di avvelenamento particolare, forse il primo di cui si abbia traccia, si verificò tra gli uomini dell’equipaggio del capitano James Cook, come riportato nel suo diario di bordo.

Avevano pescato dei pesci palla nei tropici e mangiato le carni; le frattaglie  e la pelle, dopo la pulizia dei pesci, vennero dati in pasto ai maiali presenti a bordo. Gli uomini dell’equipaggio soffrirono di mancanza di respiro e stordimento; i maiali morirono tutti.

“Allora? Hai dato uno sguardo al materiale?” disse il medico rientrando e gettandosi letteralmente sulla sedia con aria stanca.

“Si, purtroppo, e non mi hanno rassicurato per niente. E’ cambiato qualcosa? Eros…come sta?”

“Come prima. Ma ho rivoluzionato la terapia. Come prima cosa gli ho somministrato gli inibitori dell’acetilcolinesterasi: edrofonio, rivastigmina e conto di provarne anche altri. Ho aumentato l’idratazione e la dose di alfa adrenergici. Sono ottimista: in dieci anni in Giappone, dal 1974 al 1983, su 646 casi di avvelenamento da pesce palla ne sono morti solo 179. Ma le cose sono migliorate con questa terapia che ho adottato ed i morti sono passati a soli 6 per anno. Sono fiducioso” disse il medico facendo seguire un profondo sbadiglio.

“Ti sono grato per tutto quanto stai facendo per Eros, non lo dimenticherò! Grazie, anche a nome della famiglia” disse Nicola alzandosi ed aggiungendo subito dopo: “Posso vederlo un attimo?”

“Vai pure; ho dato disposizioni di farti entrare come e quando vuoi. Non dimenticare i soprascarpa. Ci vediamo domani. Tra un po’ vado a casa perché ho bisogno di dormire: ormai da ventiquattr’ore sono sveglio ed il caso Eros mi ha impegnato non poco” disse il medico togliendosi il camice stropicciato ed indossando una giacca altrettanto spiegazzata.

Eros era disteso inerte nel letto, pietrificato nella posa in cui l’aveva lasciato.

Prese una sedia e si accomodò accanto all’amico; poi gli prese una mano tra le sue, stando ben attento a non toccare fili, tubicini e cateteri, e gli raccontò tutto per filo e per segno, come se l’amico potesse sentirlo.

Si addormentò così, scivolando nel sonno per la stanchezza accumulata.

Si risvegliò mentre una mano gli faceva una carezza sui capelli; Evelyn era alle sue spalle con i genitori che lo abbracciarono commossi ed incapaci di esprimere a parole la tenerezza ed il conforto che provavano per lui.

Il padre di Eros, Antonio Caroni, aveva 58 anni e se li portava bene. Era il gioielliere più conosciuto di Tropea, un vero esperto in pietre preziose, ed aveva ereditato la passione ed il mestiere dal padre e dal nonno.

La moglie, Valentina, più giovane di tre anni, era stata sindaco di un paese limitrofo per la durata di un mandato ma poi aveva deciso che non era tagliata per una simile attività. Quando le chiedevano il perché avesse rifiutato di ricandidarsi la sua risposta era sempre la stessa: “Perché non siete mai contenti. Perché volete che gli altri osservino le regole ma voi stessi chiedete favori per non rispettarle. Perché mi avete fatto disperare per cinque anni ed invecchiare precocemente. Lasciatemi in pace!”

La gioielleria di famiglia, un elegante negozio a due vetrine posto sul corso principale della piccola cittadina sul mare, era il punto di riferimento per gli acquisti sia dei residenti che dei numerosi turisti, presenti massicciamente da maggio ad ottobre.

Evelyn aveva conseguito il diploma di maturità scientifica presso il liceo di Tropea ed aveva deciso di lavorare con il padre ed il fratello nel negozio di famiglia. Con il tempo anche Caterina si era aggiunta allo staff e gli affari andavano a gonfie vele, malgrado il fisiologico calo dovuto alla crisi economica che aveva coinvolto quasi tutte le attività commerciali nell’ultimo decennio.

Dopo aver spiegato a tutti i presenti la situazione e le implicazioni che dovevano attendersi, Evelyn si offrì di accompagnare Nicola a casa con l’auto, una Smart rosa e nera donatale dal padre per i suoi diciott’anni.

La famiglia Di Costanzo abitava in un comune vicino, San Nicolò di Ricadi, in una bella casa con vista mare; in un quarto d’ora la Smart giunse a destinazione.

Nicola ringraziò Evelyn con un bacio sulla guancia e fece per scendere dall’auto. La ragazza lo attirò con uno slancio improvviso e lo baciò sulle labbra.

“Perché?” chiese lui.

“Perché se non lo faccio io tu non lo farai mai!” fu la risposta di Evelyn.

“Tu non ti rendi conto che…”

“Voi uomini siete sempre così misteriosi. Ti fai un sacco di problemi, ti poni troppe domande, ti crei degli ostacoli inesistenti. Volevo baciarti e l’ho fatto. Ti aspetterò ancora per un po’. Ma non voglio sprecare tutta la mia vita a rincorrere sogni. Ora sei stanco. Spero che quando ci rivedremo avrai qualcosa da dirmi in proposito. Ciao Nico. Stai molto bene in giacca e cravatta.”

“E tu sei bellissima. Passa a prendermi stasera; andremo all’ospedale insieme.”

“D’accordo. Buon riposo, salutami i tuoi.”

La Smart fece una rapida inversione e sparì smuovendo la ghiaia del vialetto d’ingresso.

“Tesoro! Hai saputo? Vieni ad abbracciare tua madre. Quando sei arrivato? Non potevi dircelo, saremmo venuti a prenderti alla stazione di Tropea” disse la madre comparsa sulla soglia ed accogliendolo a braccia aperte.

“Ero sconvolto, mamma. Eros è in stato di incoscienza da ieri, è una cosa seria, forse gravissima. Non ci ho pensato. Scusa!”

“Vieni dentro; ti preparo il letto con delle lenzuola fresche di bucato e potrai farti una bella dormita. Il mio dottore è a casa!”

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