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Ricordo di Girolamo Vallone, detto “Ballata”

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OGGI VI REGALIAMO UN PIACEVOLE EXTRACT DELL’ULTIMO LIBRO DEL DOTT. PASQUALE VALLONE  “BRATTIRO’ E LA SUA STORIA. ANEDDOTI, FATTI, MISFATTI”. IL PEZZO E’ ESTRAPOLATO DAL PARAGRAFO 43 DEL LIBRO, SEZIONE  DEDICATA ALL’INDIMENTICABILE GIROLAMO VALLONE DETTO “BALLATA”, PERSONAGGIO CHE TUTTI A BRATTIRO’ (E NON SOLO) RICORDANO (LA SUA FOTO-A MARE IN ESTATE COL CAPPOTTO- COMPARE NELLA COPERTINA DEL VOLUME).

“BALLATA” E’ MORTO PROPRIO L’8 NOVEMBRE DEL 1991, QUINDI ESATTAMENTE 21 ANNI ADDIETRO: QUESTO E’ ANCHE UN MODO PER OMAGGIARLO.

IL LIBRO SULLA STORIA BRATTIROESE E’ USCITO ALCUNE SETTIMANE FA, PUBBLICATO DALLA NOSTRA AGENZIA (www.thoth.it). LO POTETE ACQUISTARE ALL’EDICOLA DI BRATTIRO’, A QUELLA DI CARIA, OPPURE PRESSO LA SEDE DELLA NOSTRA AGENZIA THOTH A SAN NICOLO’ DI RICADI (SU RICHIESTA VE LO POSSIAMO ANCHE INVIARE TRAMITE POSTA).

43- RICORDO DI  VALLONE  GIROLAMO –BALLATA

Vallone Girolamo (8 marzo 1926-8 novembre  1991) è stata una persona briosa e allegra, con le sue battute spiritose, naturali e argute.

È ricordato da tutti a Brattirò e nel circondario. Il nome Ballata gli fu affibiato dal fatto che, da bambino, per la sua indole gioviale e allegra, correva saltellando per le strade e canticchiava: “Ndi facimu ‘na ballatea, ‘ndi facimu na ballatea”.

Era una persona molto intelligente. Aveva studiato fino alle scuole superiori, ma si ritirò due anni prima di conseguire il diploma di maestro. I suoi coetanei compaesani che hanno proseguito gli studi e conseguito la Laurea lo ricordano come uno tra i più bravi a scuola, che dava spiegazioni a tutti, in tutte le materie.

Ballata tentò altre vie. Lo attraeva il mondo del cinema e voleva, nei suoi sogni, seguire questa strada, facendo qualche comparsa e stimolato da una rassomiglianza perfetta col grande Raf Vallone. Si diede anche un nome d’arte: Marcello Monti. Ma non ebbe fortuna.

Fu terziario laico, col nome di Fra Daniele, in un monastero della Toscana, ma ne combinò di tutti i colori.

Fu nel corpo di Polizia dello Stato e prestò servizio a Livorno. Era con lui un mio caro, grande amico, R.F. che mi ha raccontato tante storielle.

Una volta su un autobus, a Livorno,  Ballata cominciò a gridare: “scanzatevi, arrassativi”  e si faceva largo, anche con la minaccia di estrarre la pistola, per trovare il sigaro che gli era caduto.

Un’altra volta ci fu una manifestazione operaia e studentesca a Livorno e la Polizia doveva intervenire per riportare l’ordine. Ballata cercò di defilarsi e si imbatté, in un angolo di una piazza, in una coppietta appartata e innocua. Cominciò a dare manganellate a quelli che si dichiaravano estranei, gridando: “Io cu ‘uncunu haju u ma piggiu,  mi siete capitati voi e tocca a voi ricevere manganellate”.

Dopo una breve permanenza nella Polizia, ritornò al paese e fece il coltivatore diretto in un piccolo fondo di proprietà. Coltivava uva da tavola e da vino.

D’estate si metteva il cappotto e con la sua vespa andava in spiaggia. Tutti lo conoscevano e lo avvicinavano per scherzare con lui e farsi raccontare qualche storiella. Talvolta pranzava in spiaggia con amici, ai quali gridava: “Passami una fettina”, perché lo sentissero i bagnanti, ma si riferiva alle fettine di pomodoro…

Immancabilmente, quando scendeva a Tropea, al mercato, si portava la bisaccia a spalla “a vertula”.

Ricordiamo alcune sue battute:

A Tropea entrava in un  bar e all’atto di pagare il caffè, tirava dalla tasca un assegno da 200 mila lire, di quelli con cui, all’epoca, gli uffici postali pagavano le pensioni. Il cassiere diceva che non aveva resto e lui, tirando dalle tasche,  qualche altro assegno o una banconota di grosso taglio, replicava: “Io tutti cusì l’haiu!”.

Quando comprò una nuova Vespa, gli abbiamo chiesto come si trovava e lui tutto contento ci diceva: “Sta Vespa è potenti e tira bene, infatti, da Tropea a Brattirò, portò a mia e 250 grammi i provula”.

Ad un amico che partiva per Catanzaro a fare la visita per l’assegnazione della pensione, gli augurò: “Speriamu u ti trovanu gravi, ca si ti trovanu gravi e cu tambutu arredi a porta, a pinzioni, t’assignanu di certu”.

Ballata, da bambino era una peste! Vedendolo arrivare nell’aia, il nonno gridava: “Ammasunati i gaini, ciuditi a virea ‘nta paggialora, cacciati a catina du puzzu, attaccati i vacchi accurtu a mangiatura,  ciuditi u porcaru, c’arriva u nimaliu”.

Ad un parente che, in campagna, costruiva un muretto di cinta per la raccolta e il contenimento dello sterco degli animali, Ballata disse: “Sta’ facendu a cella da pescia”.

Una volta, nella settimana dopo Pasqua al cimitero, Ballata sentì piangere una vecchietta di Drapia, sulla tomba del marito. Si avvicinò cercando di rincuorarla.  Le chiese il motivo di tanto dolore e la vecchietta le disse che piangeva il marito morto il mercoledì della settimana (mercuressantu) passata e Ballata di rimando: “Allura a Pasca sa fici ‘ccà”.

Ballata e il fratello Antonio, al cimitero, seguivano i lavori per l’ampliamento della cappella di famiglia, dove erano sepolti i genitori. Entravano e uscivano dalla cappella diecine di volte, parlando e commentando, e ogni volta, istintivamente, il fratello chiudeva il cancelletto. Ballata, esasperato, gridò: “Ntoni, stu cazzu i cancinu po’ fari nommu u ciudi ca u tata non sindi scappa”.

Ballata e il fratello Antonio che era alla guida della macchina, rientravano a casa da Vibo. Era una serata d’inverno, piovosa e buia. Con la macchina passavano su tutte le pozzanghere (gurni) e la macchina traballava. A Mesiano (Ciuppi), Antonio, riuscì ad evitarne una perché c’era la luce dei lampioni e Ballata gridò: “’Ntoni, frena! Frena e torna arredi ca tindi scordasti una!”.

Nell’estate del 1957, eravamo al campo sportivo di Spilinga, per assistere ad una partita di calcio tra Brattirò e Spilinga. C’era una forte e sentita rivalità. Ballata si rivolse agli spettatori spilingesi che erano al bordo del campo e disse: “A’ssà filata vi ruppu a facci”. Ci fu una forte tensione e le persone di Brattirò lo rimproverarono. Tra gli Spilingesi si fece avanti un individuo. Sapevamo che non godeva di buona reputazione. Si sistemò il berretto e rivolto a Ballata, disse: “Cumpari, haviti u vi ritirati a parola”.  Ballata, con il suo immancabile sigaro in bocca,  senza  scomporsi, placidamente, replicò: “A parola si voliti pimmu ma ritiru, jo ma ritiru, ma pi minari vi minu u stessu”. Ci fu una risata generale.

Nell’estate del 1967 si susseguivano scosse telluriche. Per questo motivo e per il caldo torrido si passava gran parte della notte in piazza. Abbiamo scorto la sagoma di un uomo, in abito scuro e cravatta, che si avvicinava: era Ballata che al nostro cospetto disse: “Si veni u terrimotu e haiu u moru, su vestutu!”….

Pasquale Vallone

(TROVATE TANTE ALTRE BATTUTE DI “BALLATA” NEL LIBRO “BRATTIRO’ e LA SUA STORIA. ANEDDOTI, FATTI, MISFATTI)

 

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