“Siamo assetati di giustizia, continueremo a combattere…”

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Lauretta Pugliese

RICEVIAMO e PUBBLICHIAMO una lettera di Annalisa Fusca, figlia di Lauretta Pugliese, vittima di un presunto caso di malasanità.

Siamo stati troppo tempo in silenzio. Abbiamo cercato di placare la rabbia per dar voce ad una speranza. Abbiamo cercato di trattenere fra le mura domestiche il nostro dolore straziante, le nostre ferite dal profondo dell’anima. Ferite che non rimargineranno mai, continueranno a versare sangue in ogni istante. La morte di Lauretta Pugliese, donna di soli 44 anni di Caria, frazione del comune di Drapia, deceduta il 12 ottobre 2011 a seguito di un intervento di “artroplastica con artroprotesi alla gamba destra” presso la clinica “Villa Caminiti” di Villa San Giovanni, rimarrà sempre impressa nella nostra mente. Lauretta, madre e sposa esemplare, donna di insaziabile bontà, donna ricca di valori, donna di grande fede, donna sorridente. Una semplice donna che ha saputo condurre un calvario con gioia. Ha abbracciato appieno la sua croce, attraverso ogni sofferenza per giungere al cospetto di Dio, accanto alla Vergine Maria. È trascorso poco più di un anno dal tragico evento e da allora niente è più come prima. Nei giorni scorsi l’avvenuta risposta giudiziaria, l’atteso trionfo della verità ha placato in parte, quel disperato bisogno di giustizia. A seguito degli esami autoptici sul corpo della donna, esami istologici e tossicologici è venuto fuori che la morte prematura della stessa è da attribuire all’anestesista Stefano Barillà. L’anestesista in questione ha errato nella somministrazione dei dosaggi nonché dell’associazione degli stessi. È emerso, per tali motivi dalla consulenza tecnica medico-legale una chiara responsabilità per colpa professionale. Errore assolutamente evitabile. All’età di 63 anni, credo che un medico specialista abbia abbastanza esperienza da poter esercitare la propria professione senza alcuna esitazione e nessun errore banale e allo stesso tempo fatale per una vita umana. Ricordiamo, che la professione del medico non consiste solo nel percepire uno stipendio nettamente superiore ad un semplice operaio, ma presuppone la cura e l’attenzione al singolo paziente. Il personale in ambito sanitario deve prendere coscienza del fatto che la professione esercitata è una vera e propria missione e come tale deve essere svolta. Se in sala operatoria vengono riportati problemi di vita quotidiana o comunque si è assenti, senza riuscire a capire che il dosaggio dell’anestetico è superiore alla quantità adeguata bisogna semplicemente evitare di operare. Se in sala operatoria vi fosse un familiare dell’anestesista indagato, avrebbe posto la stessa attenzione? Quale sarebbe la sua reazione nel caso in cui rivoltando le parti, avrebbe perso una moglie, una figlia, una madre, vittima della malasanità?

La salute viene definita dall’OMS (organizzazione mondiale della sanità) come stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia, viene considerato un diritto e come tale si pone alla base di tutti gli altri diritti fondamentali che spettano le persone. Tra i diritti fondamentali dell’essere umano vi è il diritto alla vita, il diritto ad un’esistenza dignitosa. Diritti violati alla vittima e a noi familiari. Oggi, siamo costernati da innumerevoli episodi di malasanità, che ci portano a credere che il diritto alla salute, alla vita, come un “qualcosa” di facilmente violabile e impunibile. Per malasanità si intende una carenza generica della prestazione dei servizi professionali rispetto alle loro capacità che causa un danno al soggetto beneficiario della prestazione. Quando non sentiremo più parlare di vittime di malasanità? Quando ritroveremo qualcuno capace di dare importanza ai diritti fondamentali degli uomini e non soltanto ai doveri? Quando riusciremo ad avere maggior rispetto dell’altro, porre attenzione nel compiere il proprio lavoro?

Mi auguro che la pessima situazione sanitaria in cui si trova il Mezzogiorno d’Italia, in particolare, sia soltanto una fase transitoria; che le diverse vittime della malasanità possano fare  da tramite affinché simili orrori non si ripetano più. Una semplice assistenza medica, una degenza in strutture sanitarie nel 2012 sono divenute delle soste in un campo di concentramento. Si è sicuri dell’arrivo in strutture ospedaliere, ma non del ritorno tra i propri cari. La nostra battaglia non finisce qui. Siamo assetati di giustizia. Continueremo a combattere al fianco dei nostri legali, per far sì che la verità, la giustizia, possano trionfare in questo mondo!

Annalisa Fusca

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