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Preghiera e poesia negli “Appunti di immagini e giorni”

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Sabato pomeriggio, presso la chiesa di Panaia di Spilinga, è stato presentato il libro APPUNTI DI IMMAGINI E GIORNI, raccolta di poesie di don Felice Palamara pubblicata dalla THOTH EDIZIONI.

Moltissime persone hanno partecipato alla manifestazione culturale.

Sono intervenuti: Francesco Pugliese (moderatore); don Sergio Meligrana (parroco di Brattirò e di Gasponi); Mario Vallone (giornalista ed editore); Pasquale De Luca (presidente del Premio Onde Mediterranee); l’autore don Felice Palamara.

In basso trovate la relazione del prof De Luca e alcune foto scattate da Nancy Riso.

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Preghiera e poesia negli “Appunti di immagini e giorni” di don Felice Palamara

In data 9 settembre 2013, da Sasso Marconi, la poetessa Francesca Eleonora Capizzi mi scrive: “… la Poesia, … confina con la sacralità o lo è essa stessa. Sicuramente (…)si deve essere autentici (…) solo così la parola porterà qualcosa di vero, evocherà la distanza tra lo spiegabile e l’inspiegabile, sovvertirà gli ordini costituiti, romperà i muri eretti a difesa di noi stessi e pervaderà altri mondi. Chi sente di ricevere la Poesia deve prima purificarsi, svuotarsi e sentirsi strumento prima ancora che artefice della Poesia”.

Sono parole che ci invitano a riflettere, e a riflettere soprattutto sul libretto di don Felice Palamara di cui parleremo oggi.

Già la copertina, nella sua bellezza “ecologica” con un viottolo che si addentra in un bosco, ci prospetta la visione di una scoperta di là da venire: immagini di un percorso da compiere all’interno di un’anima alla scoperta di una forte e intensa spiritualità che caratterizza l’uomo, lo plasma, lo modella;  non nel suo aspetto esteriore, ma nel suo interno, nell’interiorità della sua persona.

Don Felice Palamara, che ha sentito la voce di Dio, ha dato ascolto e ha risposto alla sua chiamata, seguace del pensiero di don Mottola, futuro santo ci auguriamo, ama smisuratamente la sua terra, la sua gente. Giovane sacerdote, aperto alla comunità parrocchiale, con una grande fede, con una grande missione: quella di fare della parola, come dice la poetessa citata, uno strumento di amore, di fede, di conversione. Egli, con umiltà ma con convinzione, fa uso della parola, che è poesia, per portare Dio nel popolo; egli, consapevole o inconsapevole, fa uso della parola per convertire in preghiera la poesia e viceversa. E, in effetti, per tornare alla poetessa di prima, nella poesia c’è sacralità perché poesia e preghiera si eguagliano.

Inoltriamoci, quindi, in questo cammino di profonda fede e spiritualità, che don Felice ci indica e propone fin dalla dedica alla nonna i cui insegnamenti sono a fondamento di una vita vissuta come testimonianza di fede, di speranza, di carità. Facciamo questo cammino insieme a lui e alla sua poesia. Che è un inno a Dio, alla Madonna; in preghiera. Immagini e giorni come appunti: qualcosa da osservare, qualcosa da ricordare. Giustamente, in prefazione, don Sergio Meligrana afferma: “La poesia è linguaggio dell’anima”, estrema sintesi che in breve spazio concentra il tutto senza tralasciare il particolare. Uno spiraglio di luce in una camera oscura: sta a noi aprire uno squarcio e disvelare il tutto. “Metro aperto”, dice il prefatore, noi  aggiungiamo metro libero da ogni formalismo tecnicamente codificato anche se l’A.  non trascura l’elemento metrico tradizionale come rima, assonanza, consonanza, allitterazione, richiami e ritorni, la strofa, in una simbiosi di immagini e di contenuti che riportano al titolo dell’opera: Immagini e giorni. Che si somigliano e sono diversi. Le immagini: la vita che scorre, cambia, muta, si trasforma. I giorni: il tempo che tutto sovrasta e domina con il suo ciclo sempre uguale, sempre nuovo, diverso: mai un giorno è uguale all’altro, a quello che è passato, a quello che verrà. L’uomo stesso, nella sua immagine, nella sua spiritualità, non è mai uguale a se stesso, ma si modifica e si trasforma nell’aspetto fisico e nello spirito in un continuo cammino definito da fede, amore, carità verso ciò che è infinito, che è Dio.

Elementi apparentemente astratti, ma concreti  nella vita di don Palamara che ad essi impronta il suo ministero utilizzando la parola come forza viva in una spinta propulsiva verso l’Alto, verso il divino con semplicità di spirito, con semplicità d’espressione: vuole capire e farsi capire, fugge da ogni bizantinismo circonlocutorio, falso, ingannevole, inconcludente. Si ferma all’immediato: pane al pane – vino al vino. Entra nell’animo della gente, nulla nasconde della sua anima fatta di bontà, di sincerità, di dedizione. E lo fa con passione.

La poesia. Mi soffermo solo su poche poesie per dare dal particolare l’indicazione su il tutto.

Le date, alcune nude e crude, altre con l’indicazione del luogo, sono i legami che uniscono immagini e contenuti nelle loro svariate forme. Esempio: la prima poesia (La croce cattedra d’amore) potrebbe benissimo essere stampata come preghiera nelle sacre immaginette di Cristo in Croce, come pure quella di pag. 34 (Maria mia dolce speme) e quella di pag. 36 (Fiore che fiorisce nel giardino celeste) che però è più commemorativa, infatti è dedicata allo zio Nicola.

La seconda (Natale, camminare verso l’Eterno) è molto più ariosa nel desiderio intensamente ripetuto (Vorrei volare- Vorrei volare) con una certa accelerazione come se effettivamente stesse prendendo il volo verso l’Eterno, verso l’Infinito, per placarsi poi in una calma del “vivere e riposare” e “camminare” “camminare” con Colui che è l’Infinito, cioè Dio.

In Chiusi per ferie notiamo l’amarezza per l’egoismo umano, del ricco verso il povero, di chi ha e non dona, di chi può e no fa, di chi ha e non dà e preferisce starsene nel suo, solo e “chiuso per ferie”.

Quel giorno sarà Pasqua per te si caratterizza per la bellezza spirituale, per intensità di fede che trabocca da ogni parola; è sublime elevazione e donazione di sé all’altro, uno spogliarsi del corpo per assumere la vera essenza del vero uomo che poi altri non è che Dio, un Dio dentro di noi che ci chiama e ci guida nei giorni sul cammino del bene e della redenzione.

Ma c’è soprattutto amore verso la Madonna nella poesia di don Felice che si sostanzia in forma di venerazione e di preghiera verso la Mamma Celeste (Fulgida stella, Mater mea fiducia mea).

Eppure la storia si ripete, che non è la storia dell’uomo della terra, ma del Figlio dell’Uomo, di Dio fatto Uomo che torna sul mondo, ed è sul mondo, per l’uomo, in mezzo all’uomo, questa poesia, che è sì poesia di circostanza e d’occasione ma non per l’occasione (Natale 2007), cioè forzata, senza rima o altri accorgimenti tecnici  propri della poesia è poesia vera, piena d’intensità, ed è poesia vera per sentimento, per significazione, che travalica ogni formalismo, rompe gli argini, supera il verso in una libertà che prende e trascina prima in sordina, poi sempre più veloce per concludersi in “un sorriso”, in “un abbraccio”.

Anche la natura è presente con la sua bellezza, con la sua armonia, con i suoi suoni, con i suoi colori (Le note della natura, Tramonto) “tacendo ascolto/ il canto melodioso/ dell’onda del mare/ del raggio del sole/ del cinguettio degli uccelli” in Contemplo nel silenzio e “il mare profondo e limpido/ emetteva i suoi suoni/ attraverso l’onda/ che toccava la sabbia” in Immerso nella natura.

La vita di Cristo che vive in loro ci proietta in una realtà amara negata all’umanità, quando, invece, è necessario “fissare i propri occhi  dentro i loro”, e lui, in uno slancio di solidarietà, di amore verso il prossimo, verso i poveri, i bisognosi, gli emarginati, lui, cioè l’A., entra “tremando” in questa realtà fatta di ragazzi e di ragazze che non vogliono parole “perché se ne fan(no) tante,/ ma qualcuno che li ascolti,/ che li abbracci”, lui entra in questa realtà “come fosse un tabernacolo/ perché dove c’è un cuore umano/ c’è il cuore divino che batte,/ c’è una vita/ la vita di Cristo che vive in loro”.

Ma c’è anche, nella poesia di don Palamara, amore per la propria terra: la Calabria, Tropea, la parrocchia di Panaia (La mia terra, Mia amata terra, Terra amata). In alcune alita con sentimento fanciullo lo spirito francescano di san Francesco d’Assisi a volte ripreso con le stesse parole del fraticello che abbandonò ogni ricchezza, onore e gloria per darsi alla povertà: “frate sole”, “sorella luna”, “sorella morte”. E c’è nostalgia in Ricordo del passato, Al seminario minore. Di eccezionale bellezza, pur nella loro brevità, sono: Lacrima sofferta e Vorrei.

Nelle poesie in vernacolo si impone e grava ancora di più il legame d’amore che lo avvince in un abbraccio filiale, devozionale, di venerazione alla Madonna (di Romania e dei Cento Ferri) e verso don Mottola di cui don Felice è ammiratore ed è felice di ritenersi affettuoso suo figlio spirituale, esempio di totale dedizione per lui e per noi, esempio di abnegazione, di fede, di amore, di santità.

Tutto ciò troviamo nella poesia di don Felice Palamara, che, con questo libretto edito dalla Thoth Edizioni, ce la presenta, a noi, in tutta umiltà in un abbraccio di amicizia, di fede, di carità. Come una preghiera.

     Panaia di Spilinga, Parrocchia S. Maria dei Cento Ferri, sabato, 5 ottobre 2013

Pasquale De Luca

Da leggere: Chiuso per ferie; La morte che diventa vita; Lacrima sofferta; Vorrei.

 

 

 

 

 

 

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