La macellazione del maiale

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“Il recupero della Memoria” – Pasquale Vallone 2008 (vai al precedente post sull’argomento)

Cap. 1.1 – RITRATTO DI VITA DELLA CIVILTA’ CONTADINA A BRATTIRO’

La macellazione del maiale

C’è un antico detto calabrese: “Cu si marita è cuntentu ‘nu jornu e cu ammazza u porcu è cuntentu n’annu!”

Il maiale era, ed è, uno degli animali domestici che ogni contadino alleva, in un apposito porcile (porcaru), gli da da mangiare per un intero anno per poi macellarlo.

La macellazione del maiale ha un rituale; anzi è un rito. E’ una festa per una intera famiglia e per gli amici di questa.

Avveniva per lo più tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio. Ci si alzava di buon mattino, anzi, a notte fonda si “attizzavano i coddari”, cioè si faceva bollire l’acqua in grosse caldaie. All’alba, il maiale, legato per i piedi, veniva disteso con la forza su una balla di paglia e immobilizzato da almeno tre persone, e il macellaio gli conficcava un coltello nella regione del collo per recidergli la carotide e la giugulare.

L’animale spirava tra grida atroci mentre il sangue, che copiosamente defluiva dalla ferita, era raccolto in un catino e serviva, opportunamente mescolato ad altre sostanze (chiodi di garofano, miele, mandorle, cannella, uva passa, noci…), per fare “‘u sangunazzu”.

Il maiale morto veniva adagiato su una tavola, per terra; gli si spargeva sopra acqua bollente e così era depilato con appositi coltelli. Generalmente il macellaio depilava e puliva le parti più delicate cioè il muso, i piedi e la coda. Poi veniva appeso con carrucole su un supporto ad una altezza di oltre due metri. Quindi il macellaio lo sezionava in due metà (menzini) che poi venivano pesate con una stadera (stratea).

Se il macellaio (gucceri) era bravo e aveva buon occhio le due metà differivano solo per il peso della coda che, ovviamente, rimaneva attaccata solo a una delle due metà.

Quindi si procedeva alla selezione della carne. La carne migliore serviva per le soppressate, quella media per le salsicce, e l’altra, unitamente al peperone tritato insieme ad essa, serviva per fare la ‘nduja.

Soppressate (suppressati): la carne migliore veniva tritata unitamente a pezzetti di lardo, con i crivelli (tamburi rotanti in lamiera forata) più grossi, cioè più larghi; poi veniva stesa su un tavolo per la salatura, quindi era rimessa in un recipiente dove vi rimaneva qualche ora perché assorbisse il sale, e infine la si insaccava nelle budella del maiale stesso, opportunamente lavate e pulite. L’intestino e le austre riempite della carne e appositamente legate diventavano “‘i gruppi di’ suppressati”.

Salsicce (sotizzi): la carne per le salsicce veniva tritata con crivelli più piccoli e, dopo che era salata allo stesso modo delle soppressate, ma con quantitativi di sale diverso, era messa nelle budella dell’intestino tenue del maiale, o anche in quelle di vitello. Le salsicce venivano poi appese all’aria, in un ambiente chiuso e ventilato, perché si asciugassero e avvenisse la stagionatura.

‘Nduja: questo pregiato e rinominato salame si preparava tritando la carne e con essa, o anche a parte, il peperone rosso e seccato, più o meno piccante (amaru) a preferenza del gusto. Il tutto veniva salato, e poi vi si riempivano le budella dell’intestino tenue del maiale per quella ‘nduja da consumare prima. Ma la ‘nduja classica e certamente la più nota e la più prelibata, è l’ “orba”, cioè quella parte di insaccato del maiale che richiede una più lunga stagionatura e si consuma nel corso dell’intero anno solare, fino a nuova preparazione.

Questi, appena descritti, sono gli insaccati; ma altre parti del maiale, opportunamente preparati, costituiscono una vera prelibatezza. Fra questi il guanciale (maccularu), tenuto pochi giorni sotto sale e poi messo ad asciugare e a stagionare in un ambiente ventilato. Il capicollo (capicoiu), la parte posteriore dorsale del maiale, tenuto sotto sale pochi giorni e poi avvolto nel vello peritoneale, messo ad asciugare e tenuto sette – otto mesi appeso in un ambiente ventilato per la stagionatura. Tutto il lardo del maiale veniva tagliato a pezzettini e messo a bollire in una grande caldaia. Dopo alcune ore si scioglieva e la parte liquida era raccolta e messa in appositi contenitori di vetro (buccacci) o terracotta, e una parte in vesciche di maiale. Il tutto, consolidatosi, diventava strutto usato come prelibato condimento.

Ziringuli: lardo frammisto a carne messo a bollire e Davvero deliziosamente prelibati con la focaccia calda (pizzata).

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