Caria: “Il luogo più ricco di siti archeologici”

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Oggi siamo ritornati sul territorio di Caria, il luogo più ricco di SITI ARCHEOLOGICI del Promontorio del Poro, racchiude in un piccolo territorio, una lingua di terra, reperti documentati di diversi millenni di storia.

Oltre alla più importante, la Necropoli di Torre Galli che ho già pubblicata su questo sito e che ripubblicherò a parte per chi volesse rileggerla, con le sue trecento-trentasei tombe, esplorate da Paolo Orsi, tombe formate da ampie fosse rettangolari o ellissoidali, col fondo a culla o a carena di nave, circondate da pietrame e, raramente, di mattoni di argilla mal cotta, ricchi di suppellettili che dovevano accompagnare il morto nell’aldilà.

Oltre la grotta di Santu Liu, già pubblicata. Oggi ci siamo avventurati alla ricerca delle tombe volgarmente dette saracene ma in realtà con i Saraceni non hanno niente a che vedere.

Cronistoria.

Addentrandosi alle spalle di Caria s’incontra un largo pianoro ricco di uliveti, la Piana di S. Maria, così descritta di Alfonso Lo Torto: Il sito più denso per concentrazione umana che si era formato – attestato dalle necropoli esistenti – fu sicuramente quello che, oggi, nella carta planimetrica dell’Istituto Geografico Militare assume la denominazione di “Piana S. Maria”, presso l’attuale Caria di Drapia. Detta piana ha un’estensione di circa 170 ettari. Iniziando dalla strada provinciale di Caria, posta alla quota altimetrica di 436 m. s. 1. m., la “Piana S. Maria” è formata da terrazzi più o meno estesi che degradano fino a quota 398 m. s. 1. m. e sono protetti da una ripida falesia miocenica prospiciente il mare che si estende da ovest fino a nord / nord-est. La zona centrale di detta piana presenta un leggero avvallamento da cui ha origine un rivolo d’acqua che, scendendo dalle colline, raggiunge Tropea, ove assume la denominazione di “Lumìa”. Nel versante est un altro torrente, costeggiando la piana e defluendo fino al mare, reca la denominazione di “Burmaria”. Tale sito avrà avuto sicuramente un particolare interesse soprattuttoper gli Arabi all’epoca in cui hanno dominato il territorio Il ricordo di quella dominazione è rimasto sia nel nome della necropoli tardoantica, che in un recente passato è stata parzialmente distrutta da irresponsabili scavatori clandestini, sia nel nome di quel torrente. Le denominazioni odierne riferite alla piana, al ristretto sito e necropoli “Saracino” e al torrente “Burmaria”, presenti nella cartografia di quel territorio, costituiscono dati storico-topografici molto rilevanti e determinanti per comprovare la localizzazione della storica diocesi di Myria, distrutta dai Longobardi, in quanto tali dati topografici stanno a indicare che il toponimo del terreno, Maria, era in uso all’epoca della dominazione araba del IX e del X secolo; è sopravvissuto ed è giunto inalterato fino ai nostri giorni. Il vasto pianoro, mai esplorato scientificamente da scavi, in passato è stato oggetto di sporadiche ricognizioni archeologiche di superficie effettuate… nella necropoli “ Madonna del Cardillo”, durante lavori stradali e conseguente distruzione di alcune tombe scavate nella roccia e chiuse con embrici – per i numerosi frammenti all’epoca sparsi nel terreno – sono state recuperate due ampolle di vetro dallo scrivente e da Ferdinando Staropoli, membri dell’ Associazione Culturale “P. Orsi” di Tropea… Tutti i materiali ascrivibili al VI secolo sono già stati inventariati dalla Soprintendenza Archeologica di Reggio Calabria.

Cronaca.

I resti della Madonna del Cardillo, del tutto somiglianti a quelli delle costruzioni agricoli locali, si presenta in forma rettangolare, adesso divisa in due parti, la porta principale a forma d’arco a tutto sesto è costruito in pietra tufacea. Sul portone il proprietario ha scritto: “NON CE NENTE E NUTILE CHE ROMBETE A 3 VOLTE SEI AVVERTITO”. Superata la chiesetta, Madonna del Cardillo, il sentiero diviene dapprima difficoltoso e successivamente molto pericoloso, il sentiero scompare poiché i coltivatori di quel luogo hanno recintato il terreno a filo dell’argine che degrada a strapiombo su un profondo burrone lungo le cui pareti si trovano le tombe oggetto della nostra ricerca. Che delusione amici miei, le tombe li abbiamo trovate, ma l’abbandono era raccapricciante, oltre allo sparto che ne copriva l’intera area, carcasse di animali morti, tombe scoperte e piene d’acqua.

Agostino Gennaro

DI SEGUITO LE FOTO SCATTATE DURANTE L’ESCURSIONE NEI PRESSI DELLE “TOMBE SARACENE”:

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