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“I racconti di Bianca”- Prefazione

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Bianca Mannu

Di seguito la prefazione del libro I RACCONTI di BIANCA scritto dall’autrice sarda Bianca Mannu (THOTH EDIZIONI):

Bianca Mannu è scrittrice poliedrica, dalla vasta produzione, che spazia dalla poesia lirica alla satira, alla narrativa, non nuova alla scrittura di racconti brevi, come in quest’opera che ne raccoglie alcuni tutti incentrati su figure femminili le cui esperienze interiori e di vita sociale, comunitaria e/o familiare, sono tracciate a solchi netti e profondi, capaci di mettere a nudo, insieme ai personaggi, la profondità di pensiero e l’ampio e ricchissimo humus culturale dell’autrice. È bene lasciarsi condurre, umili e fiduciosi, per mano come innocenti e ingenui fanciulli, seguendo la storia, volta per volta, sino alla fine di ogni testo, sino alla fine del libro.

Si scoprirà allora come ogni narrazione in sé conchiusa sia invece tranche di una storia essenziale, unica ma universale al contempo. Si sentirà la voglia di rileggere, poi, con consapevolezza diversa, scaltriti da indizi e esche che ci conducono a livelli di lettura più ampi profondi e, forse, ancora più intriganti e avvincenti.

L’autrice percorre, scandagliandole, frammentarie tessere di un mosaico scomposto, attraverso le vicende delle protagoniste, tutte le età della vita, movendosi disinvoltamente tra i mutamenti del corpo e della coscienza, deus ex machina che tutto può e sa, rivalsa su ogni non senso e banalità o illusoria normalità.

Le storie, fruibilissime singolarmente, costituiscono il frutto consapevole di un’analisi del disagio del vivere, specie di quello della donna nella peculiarità della sua dimensione esistenziale mediata da un uso plastico, quasi demiurgico, della potenzialità linguistica, dalle parole desuete, usate, qui, invero, con maggior parsimonia rispetto a altre opere, accanto a termini del sardo, francese, inglese internazionale, non in un pastiche linguistico, ma con una lingua eccezionalmente  viva e osmotica del reale.

Mediante l’ampio uso del monologo interiore e del flusso di coscienza, interiorizzata e fatta propria la lezione della narrativa novecentesca, da Svevo a Pirandello, a Joyce a Proust, i personaggi, e con loro l’autrice, procedono in una continua ricerca di trasformare in meglio il senso della propria vita. Così Bianca Mannu pare rivendicare a sé, al suo passato, al presente e al futuro di molte altre donne quel senso di libertà fuori da ruoli precostituiti opprimenti, capaci di appiattire e, poi, soffocare, ogni velleità di essere e di sentirsi essere.

Così in ABA, il più apertamente filosofico dei racconti, richiamata la riflessione su temi cari all’ontologia classica, la novità sta, dichiaratamente, nella scommessa sull’eventuale, nell’andare verso il niente, il possibile, che è possibilità-che-si è possibilità-che-no.  È tutto uno scrutare, dentro e fuori e attraverso il proprio riflesso fisico e carnale, scavare nelle carni stesse, strato dopo strato, alla scoperta e al rivelare anche agli altri, rivelando a sé, le proprie molteplici individualità composite come somma di tanti uno o come uno mosaicato. Così, tra le possibilità dell’essere, compresa quella del non-essere, tante sono le morti, reali, interiori o tutte mentali, agognate, a volte, costruite, sorseggiate, desiderio di altro che sia diverso dalla quotidiana non-vita, nella quale gli stimoli vitali, biologici, a volte sono quasi gli unici motivi di risveglio, giorno dopo giorno. Allora è l’idea della morte che appare come la più vera, reale, concreta possibilità: via di fuga dal quotidiano, metafora, invero, della fine di ogni situazione che uccide la creatività e la realizzazione di individui e personalità.

La fine è una possibilità, porta da aprire, all’occorrenza. Come la lezione demartiniana ci ha insegnato, l’uomo di ogni tempo, per uscire dal disagio, dalla crisi della presenza dell’essere nel mondo, sempre esposto al rischio di non esserci più, come forza attiva e fattiva, ha da sempre attivato quelle che sono risorse d’emergenza per sopportare l’esistenza, quando sembra impossibile ogni protagonismo o azione consapevole, di libero arbitrio che sia capace d’incidere sulla realtà. Laddove ci si percepisce come mero involucro (unica realtà) ecco che avanza il desiderio di sottrarsi alla scena entro la quale sono agiti i sudditi del caos.

Le protagoniste sembrano rincorrere la possibilità di autointerpretazione, movendosi tra cattiva innocenza e pessima responsabilità. Il dramma sta proprio qui: nell’impossibilità di vivere innocenti e spensierati ove subentri la consapevolezza. Abbiamo la pretesa di rappresentarci il mondo, la vita, il nostro pascolo individuale, il senso del tutto. Ma ciò che manca al tutto è il perché.

Nel rifiuto di giustificazioni fideistiche, escatologiche, continuare nel proprio vivere è continuare a celebrare riti incomprensibili, fuori dai quali, però, è difficile pensare e pensarsi.

Come per Martin Heidegger che, insieme a Karl Jaspers, è palesemente un termine di riferimento importante, insieme a tutta la maggiore produzione esistenzialista, sia per accoglimento che per le distanze che a volte ne segnano l’allontanamento (oltre a chiari richiami all’antropologia di Ernesto De Martino e alla psicanalisi) nell’attuale condizione di necessità del mondo è necessaria meno filosofia ma più attenzione al pensiero, meno letteratura ma più cura delle lettere delle parole. Per Bianca Mannu, antidogmatica, critica e creativa, l’alfabeto è la migliore medicina contro ogni forma di sudditanza dovuta all’ignoranza e, quindi, contro ogni forma di sopruso, strumento di conoscenza e comunicazione della conoscenza, il Verbum perfetto, il Logos salvifico, tutto umano, qui e ora, in atto.

Katia Debora Melis

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