Parghelia. E ora, che fare se non tornare alla “politica”?

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E ora, che fare se non tornare alla “politica”?

Andrea Locane

E′ come una sofferenza lenta, una vischiosità. Nessuno vorrebbe crederci nonostante l′evidenza, e tuttavia si sente – attentato dopo attentato, intimidazione dopo intimidazione, dimissioni della maggioranza comunale e del sindaco, avvenimenti fuori da un ordinario svolgimento della vita politica, sociale e culturale di una normale comunità cittadina – che Parghelia ha subito un profondo cambiamento in senso negativo, una mutazione che si potrebbe qualificare, forse esagerando,”antropologica”. Sono cambiati il suo modo di pensare, il suo modo di porsi nei rapporti con l′”altro”, e sono mutati, quindi, i rapporti umani e sociali. Ed allora, ora più di prima, emerge l′urgente necessità di tornare a “fare politica” e ricordarsi che la domanda chiave della politica è questa: quali siano le cose da fare nell′interesse della collettività cittadina e quindi dei singoli cittadini, che ne sono parte essenziale. Si deve arrivare alla preparazione di un′”agenda”- come si usa dire oggi – seria e realizzabile -, espressione, che in latino significa “le cose da fare, che devono essere fatte”. Ciò è indispensabile, è un dovere civico per tutte le persone che decideranno di “salire in politica”, di qualsiasi colore esse siano e a qualsiasi partito appartengano, per amministrare al meglio, anche un piccolissimo comune, come Parghelia. Nonostante il quadro politico attuale risulti aggravato dalla crisi istituzionale e dal commissariamento del Comune, che è seguito alle dimissioni del sindaco e dei sette consiglieri di maggioranza, è necessario riprendere a “fare politica” al più presto e, evitando dannose contrapposizioni e strumentalizzazioni inutili e improduttive, imboccare la giusta direzione, affrontando i gravi problemi di sempre, che pesano sulla comunità pargheliese, e privilegiandone i più gravi e i più seri. Ci deve essere un mutamento di orizzonte politico, anche perché l′attuale crisi politica, istituzionale e sociale, che covava da tempo “sotto traccia”- le dimissioni in massa dei consiglieri di maggioranza ne sono la causa apparente – è esplosa in maniera forte e dirompente, e pertanto è necessario e giova essere consapevoli che la gravità dell′attuale situazione di crisi generale non si può curare con un′aspirina, né tanto meno con le retoriche populistiche o con gli slogan. Ciò per evitare ulteriori danni.
Riporto, qui di seguito, una parte di una riflessione, sul concetto di politica in Machiavelli, scritta da Mario Reale, professore emerito dell′Università “La Sapienza” di Roma – dipartimento di filosofia -, con l′auspicio e con la viva speranza che essa possa essere utile agli amministratori tutti, quelli del prossimo futuro amministrativo di Parghelia, che avranno la paziente disponibilità a leggerla.
“La prima lezione del “Principe” consiste nella decisività della dimensione politica. Ma Machiavelli è anche cosciente che la politica è un’arte difficile, che incontra molti ostacoli, fra cui la durezza delle cose, la variazione dei tempi e la natura degli uomini. È per affrontare questi ostacoli, specie il terzo, che il principe deve far intervenire “estraordinaria” virtù. Il senso della complessa dialettica, svolta nel finale del “Principe”, fra virtù e fortuna.
Si può parlare dell’“attualità” del Principe di Machiavelli, in occasione dei cinquecento anni dalla sua redazione, ma con molte cautele. Questo piccolo scritto, un “opusculo”, straordinario per i concetti e per la lingua, tra i più letti al mondo, rientra certamente nel novero dei “classici”. Ora le opere classiche, mentre hanno la straordinaria capacità di parlare a tutti, nella lunga durata, sono sempre anche figlie del loro tempo, ne recano tracce ineliminabili, e a volte la loro bellezza nasce proprio dalla commistione di tempo ed “eternità”. Così, non c’è attualità che non si costituisca entro la consapevolezza della distanza, niente dei classici è trasferibile immediatamente nella realtà di oggi. Il filo di connessione è piuttosto costituito da quella che direi “lezione”, ossia la possibilità di ricavare liberamente dai classici temi e motivi che, in parte, vanno oltre il tempo e possono, più spesso in forma indiretta, farci da guida.
Il primo e centralissimo punto della lezione del Principe consiste nella decisività della dimensione politica. Certo, Machiavelli riteneva che la politica fosse il “tutto”, la priorità assoluta nella vita degli uomini, e tuttavia, col filtro della lezione, resta vero, in ogni caso, che la politica costituisce un essenziale punto di unitaria connessione per ogni comunità, che mai potrebbe farne a meno, per decidere le sue sorti collettive e anche individuali. Ma, al tempo stesso, Machiavelli insegna che la politica è un’arte tremendamente difficile, che incontra, sulla via della sua realizzazione, numerosi e gravi intralci. Il primo ostacolo che la politica trovi avanti a sé, è ciò che Machiavelli chiama “fortuna”. Fuori da ogni raffigurazione mitica, fortuna significa l’insieme delle condizioni, delle circostanze e delle situazioni, che, in un dato momento, costituiscono la realtà del mondo umano; sono i “tempi” della storia. Questa realtà è subito complicata da un secondo ostacolo, cui Machiavelli è particolarmente sensibile: le cose umane non sono mai “salde”, ma sempre in “moto”, i “tempi”, l’insieme delle situazioni date, sono soggetti a perenne “variazione”. Infine, gli uomini stessi costituiscono un decisivo ostacolo alla politica. L’uomo è costituito, per Machiavelli, da un fascio di potenzialità, che si attuano nella storia, non ha una natura fissa e immutabile, né segnata indelebilmente, come talvolta s’è detto, da una colpa originaria, di natura religiosa, o da una struttura metafisica che lo condanni al male; è anche un essere fragile e insicuro, bisognoso di “assicurarsi” delle forze ostili che lo minacciano, specie quando i tempi hanno una dura configurazione; dovrebbe avere la capacità di mutare se stesso, un precetto fondamentale della politica machiavelliana, e tuttavia è spesso attaccato, tenacemente, alle abitudini del suo modo di essere e di vivere, a specifici e determinati comportamenti.
La “fortuna” riassume nel suo ambito i primi due ostacoli, e specialmente il secondo, la variazione dei tempi, il quale comprende in sé anche il primo, la complessa durezza delle cose. Non è detto che la fortuna, questa dea capricciosa, sia sempre matrigna: può limitare l’azione umana e l’iniziativa politica, fino a “spegnerle”, ma può anche presentare un volto benevolo, ciò che Machiavelli chiama “occasione”. Se questi due primi ostacoli, compresi nella “fortuna”, costituiscono difficoltà a parte obiecti, riguardano l’oggettiva realtà data, spessa e mutevole, il terzo si colloca a parte subiecti; ed è, comprensibilmente, quello che preoccupa di più Machiavelli: la fortuna varia, le cose seguono il loro oggettivo corso, e solo l’azione umana può intervenire a mutarle. Alla decisività del terzo ostacolo, al pericolo estremo che esso può rappresentare per la politica, Machiavelli risponde con la “virtù”, che è l’insieme delle qualità che connotano l’azione del politico eccellente, capace di incidere sulle cose, per quanto siano resistenti e mutevoli”.

Andrea Locane

 

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