Sharo Gambino: un intellettuale vero e profondo

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20/04/12. Da tempo volevo dedicare una pagina a questo grande intellettuale calabrese, scomparso qualche anno fa e di cui tutti e dico tutti coloro che amano la letteratura, la poesia, la cultura calabrese sentono nostalgia. Sharo io non l’ho conosciuto personalmente. Non ho avuto questa fortuna. Solo attraverso i suoi scritti e le persone che di lui mi hanno detto. In tutti, oltre alla sottolineatura ed  evidente bravura letteraria, emerge una considerazione dominante: Sharo era una bella persona. Approfitto della ripubblicazione di “Quel sole nero a Malifà” edito in seconda ristampa da poche settimane per i tipi di Rubettino, per prendere spunto e parlare di lui e di questo meraviglioso romanzo.

Sharo Gambino è nato Vazzano, paesino dell’entroterra vibonese, poco distante sia da Tropea che da Vibo Valentia. Visse a Serra San Bruno e iniziò quasi fortuitamente la sua carriera letteraria pubblicando a fumetti il racconto Tragico destino, un successo che lo ha incoraggiato a continuare. L’incontro con la drammatica realtà sociale della Calabria, gli detterà Sole nero a Malifà, il suo primo romanzo e La mafia in Calabria, primo saggio sull’argomento in Italia seguito da Mafia la lunga notte della Calabria e ‘Ndranghita dossier. Ma per una ricognizione completa sulla sua vita invito i lettori a consultare la voce Sharo Gambino su wikipedia, che trovo ben fatta.

Sul romanzo invece mi vorrei soffermare di più. Per chi non l’ha letto, e per chi vuole conoscere più in profondità le poetiche di Sharo. Questo romanzo, credo ne riporti la quint’essenza.  Gesuino è nato a Malifà, figlio del Sud quindi. Il Sud degli anni ’50, pervaso da falsi concetti religiosi, da forte ignoranza, da miseria. Vive come tutti i figli del Sud numerose mortificazioni, in una sorta di medievale espiazione. Una storia quasi romantica ho trovato in questo scritto, se non fosse per la cieca e sofferente realtà del racconto. Il soggetto è la quotidianità semplice, elementare, in cui pudore e sfrontatezza hanno pari dignità e uguale ragione. Dove realismo e illusioni si scontrano ma con una commistione, al di là del bene e del male, per dirla alla Nieztsche, del giusto e dell’ingiusto. Tanti e affascinanti gli spunti da questa cronaca consueta dell’universo dei piccoli, con un nucleo rintracciabile in tutto il tessuto narrativo del racconto, un leit motiv persistente e pregnante fino all’ultima pagina: la ricchezza-miseria degli umili, l’impasto denotante di  spietatezza, ipocrisia, rabbia repressa o sfogata, ignoranza di questo mondo e di questi personaggi. Insieme ad essa la copiosa e quasi abominevole visione del mondo, la Weltanshauung dell’uomo del Sud del dopoguerra con la copiosità di credenze e miti sopravvissuti in un paesino che non c’è. Ma Gesuino è un personaggio inventato oppure no? Questa la domanda che alla mia prima lettura mi sono subito posto. La biografia di Sharo parrebbe rivelare che la storia sia vera. Egli infatti nel 1958 si trasferisce a Cassari, viene in contatto con la vita dura della gente, le ingiustizie, i soprusi. L’indignazione lo porta a consolidare il ruolo del letterato che denuncia. E’ lui stesso, parlando di questo romanzo, a sottolineare la rabbia quale ispirazione dello stesso e di una storia talmente cruda da apparire irreale. Ma quello che viene fuori, o che almeno a me appare nel cosiddetto “tuttosommato letterario”, nelle vicende narrate, è una storia di gusto agro-.dolce di un’umanità dolente, inconsapevole, e, per questo, feroce come la realtà. Umanità modesta e sublime al contempo. Non vorrei in questo profanare la sacra critica letteraria italiana, con i suoi idiomi e le sue consolidate chiavi di lettura, ma a me, questo romanzo, mi pare essere sia nella stesura complessiva, sia nei suoi contenuti, qualcosa che richiami direttamente agli scritti del grande “corsaro italiano” che di nome fa Pierpaolo e di cognome Pasolini.  L’ambientazione storica, la semantica, sono da medioevo, così come molti racconti e sceneggiature pasoliniane: strade devastate, pecore, interni bui, pastori, credenze pagane che coesistono con la fede più accesa ed ingenua. Il futuro in lotta con il passato. Allo scontro assoluto direi. La consapevolezza con l’ignoranza. E la naturalezza, la libertà, contrastano col mondo civilizzato e le sue regole: questi anche temi pasoliniani. Su questo scenario vivo e desolato al contempo, si consuma la vicenda di Gesuino: predestinato al dolore, predestinato alla mansueta accettazione di un “vero” in cui si crede per per sopravvivenza, una religiosità che è necessità di spiegare tutto, quando questo “tutto” è assoluto tabù. Come si nasce, come si muore. Perché si nasce e perché si muore. Cos’è e cosa non è l’amore. Al centro, la storia della famiglia Sambàrvara e il calvario del protagonista: adolescente cresciuto dal sacrificio, dalla brutalità e da una religiosità insana in cui ogni respiro può essere un inganno ordito dalla ‘bruttabestia’ satanica, ed in cui ogni responsabilità di uomo è rimandata ad un momento altro. Un giovane che, lungo le vicende inumane, ingenue, addirittura grottesche, vive un processo di lenta e dolorosa identificazione mistica e folle col Cristo, arrivando a condividerne persino la morte in croce (metafora di una realtà intrappolata nell’universo del mito). Disinteresse e noncuranza si scontrano, però, con la sincera e tagliente vocazione alla denuncia sociale di Sharo Gambino.

Lucio Ruffa

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