Vita nei campi

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“Il recupero della Memoria” – Pasquale Vallone 2008 (vai al precedente post sull’argomento)

Cap. 1.1 – RITRATTO DI VITA DELLA CIVILTA’ CONTADINA A BRATTIRO’

Vita nei campi

La vita nei campi era sempre dura.

In gennaio avveniva la potatura della vigna fatta con un arnese tagliente, “u runciggiu”. I tralci (i viti) venivano raccolti in mazzetti (paniji) e ammonticchiati nell’aia; sarebbero serviti poi per accendere il fuoco e preparare il forno per la cottura del pane.

Il contadino accudiva pure alle proprie bestie. Ogni contadino possedeva animali da soma e da cortile. In gennaio venivano anche vangati i vigneti, e ciò era sempre una fatica immane.

In primavera erano arati quei terreni dove d’inverno era cresciuto il foraggio per bestiame. Sul terreno così preparato, si faceva la semina del granturco (paniculu) per mezzo di un arnese a bastone ricurvo a una estremità e appuntito all’altra (piruni).

Intanto sbocciavano le viti e si procedeva al loro trattamento con lo zolfo (nzurfaratina) per mezzo di un piccolo mantice (suffiettu), per combattere lupa e peronospora, due malattie parassitarie della vite.

Dopodiché si passava al trattamento successivo con solfato di rame (pompiatina) a ritmo quasi quindicinale, fino al mese di luglio. Si diluiva, proporzionalmente all’acqua che necessitava in rapporto alla quantità di vigna da trattare, in un bidone di acqua del solfato di rame e poi, con una apposita pompa a spalla, si innaffiavano le viti per nebulizzazione (lavaggiari o pompiari).

Quando le viti erano piene di foglie, molte di quest’ultime erano recise in modo da mettere ben in vista i grappoli perché meglio maturassero al sole (spilagrari). Altro duro lavoro era la “scirpa”, ovvero la dissodazione del terreno per la piantagione della vite. Alla “scirpa” si lavorava in squadre di una trentina di uomini.

I più deboli e i più giovani (si cominciava a lavorare a 14-16 anni) tagliavano “u scorcitu”, cioè levavano le erbacce assieme a uno strato di terra di pochi centimetri. Altri preparavano la “vancata” dove lavoravano la gran parte degli zappatori perché bisognava rimuovere la terra, a colpi di zappa, fino a circa un metro di profondità.

Quindi c’era la “suppa” il luogo da cui veniva rimossa la terra zappata.

La preparazione della “scirpa” era un lavoro duro e improbo che durava qualche mese e si faceva sempre d’inverno, perché la terra da dissodare era meno dura rispetto all’estate.

Un detto contadino suonava “a scirpa ti scippa” per significarne la gravosità.

La fine dei lavori veniva festeggiata con la “scialata”, ossia agli zappatori veniva offerto, dal proprietario della terra, un pranzo a base di tagliatelle (taggiarini), carne di maiale, castagne secche (pastiji) solidificate col calore del forno e… tanto vino!

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