Un giallo ambientato a Capo Vaticano

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L’impronta sulla sabbia

Riflessioni di Andrea Runco

Da qualche giorno ero pronto a riprendere la lettura di nuovi libri, quando per coincidenza mi è stata recapitata un’opera fresca di stampa con la nota che trattavasi di fatti realmente successi nell’immediato dopoguerra e nei primi anni cinquanta del secolo scorso.

Il romanzo in questione ha per titolo: “L’impronta sulla sabbia” di Michele Furchì, il quale, fin dalle prime battute, ha suscitato in me una forte curiosità che mi ha intrappolato in un alone di nebbia proveniente dal passato, dal quale brevissimi flash mi ritornavano alla mente rivedendomi bambino in mezzo a quell’atavica povertà che da sempre ha caratterizzato il nostro territorio. Inoltre l’accuratezza delle descrizioni spesso mi ha portato ad estranearmi momentaneamente dalla lettura per ripensare solo a quel mondo antico ormai scomparso (val al precedente post sull’argomento).

Tutto ciò mi è successo, perché il nostro autore, con magistrale sapienza e con l’uso di un linguaggio semplice e immediato, scarno di fronzoli, è riuscito a collegare i vari accadimenti sotto un unico filo conduttore che fanno dell’opera quasi un libro di fiabe per quella levità con la quale avvince il lettore ed eventuali ascoltatori qualora gli episodi si leggano ad alta voce, conducendo l’immaginazione lungo quei sentieri che sono stati percorsi dai personaggi coinvolti, ormai inevitabilmente modificati dal tempo e dalla mano dell’uomo.

In essa non sono da trascurare i poetici richiami per quei plastici ed evanescenti colori che il cielo assume durante le ore del giorno e l’autore, quale maestro di pennello, ha saputo trasmetterci con le parole più adatte per non perdere quel magico idillio che in certe condizioni atmosferiche si verifica su quel tratto di costa e nel paesaggio pertinente al piccolo borgo marinaro di Santa Maria di Capo Vaticano, dove fino ai primi anni settanta quella parte di promontorio così agreste dava sfoggio di se per una bellezza primitiva e incontaminata. Non di meno si può dire del mare antistante il detto villaggio che si estende dallo scosceso pendio di Coccorino fino allo sperone del faro, dove il paesello è incastonato come perla in uno scrigno e non è difficile sognare ad occhi aperti guardando quei flutti, sui quali lo spirito della fata Morgana e delle sirene sicuramente aleggia, al punto d’essere presente nella vita e nei racconti dei marinai che ancora solcano quelle onde in cerca del pane quotidiano, conquistato con il duro mestiere di pescatore così come faceva il nostro protagonista principale, lo sfortunato Salvatore che lungo quel lido, perse la sua amata Agata, perché non cedette ad un approccio amoroso con una mente insana che si era invaghita di lei.

Parallelamente un’altra vita pagò a caro prezzo, la libertà di innamorarsi di un giovane che non apparteneva alla sua casta di benestanti. Infatti Gemma, così si chiamava, cadde sotto la furia omicida del proprio padre, per essere stata scoperta in atteggiamenti amorosi con lo spasimante che lavorava per conto della sua famiglia.

Purtroppo la società del tempo, chiusa nel proprio egoismo, nell’avarizia e nella cupidigia non era di larghe vedute e quindi spesso il danno che faceva ad altri e a se stessa era disumano e incalcolabile.

Quello che emerge dai racconti è anche il silenzio omertoso, del quale per paura a volte si ammantano certe persone, sperando di autoproteggersi o di proteggere qualcuno, riparo che però diventa effimero man mano che la verità viene a galla denudando chi lo porta, il quale si scopre piccolo, vulnerabile ed impotente, in balìa del destino.

Il romanzo ha una fine agrodolce, perché la testardaggine di un Maresciallo onesto, tutore della legge non si è fatto intimidire, ne ha abbandonato quella vocina che dal profondo del cuore lo ha spinto a portare alla luce la verità, arrestando l’insospettabile assassino.

Con la conseguente scarcerazione del giovane Salvatore che dopo anni di sofferenza e il mai sopito ricordo della sua Agata, ricominciò una nuova vita con quelle persone che da subito lo avevano stimato e difeso da infamanti accuse, sentendo chiaro che non poteva essere stato lui l’uccisore della loro figlia.

La morale che possiamo sicuramente ricavarne da quest’opera, è che la giustizia è sempre quella che prevale e chi non ha niente da nascondere può camminare sempre a testa alta.

Grazie Michele per la bella narrazione, che sicuramente farà contento chiunque si appresterà a leggerti. Credo che la nostra società meridionale ti sarà eternamente grata per aver raccontato parte delle sue storie e delle afflizioni che purtroppo, continuano ad essere ancora presenti in questo nostro tempo.

Io avendo la certezza che l’opera è di grande valore, spero che molti siano i curiosi fruitori e da ciò ne derivi un amplissimo successo.

Andrea Runco

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