Paesi scomparsi: Aramoni

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viboneseAramoni era uno dei piccoli agglomerati rurali del Poro quando un particolare avvenimento storico lo portò alla ribalta: nel 1264 il papa Urbano IV, per la conquista del regno di Napoli, si rivolse a Carlo conte d’Angiò che, dopo aver sconfitto e ucciso nella battaglia di Benevento (1266) Manfredi, conquistò la Sicilia.

Nel 1268, dopo la vittoria di Tagliacozzo e la decapitazione di Corradino, gli angioini sconfiggono definitivamente gli Hohenstaufen e rafforzarono il loro dominio. Carlo I D’Angiò, che aveva ricevuto l’investitura e la corona di re di Sicilia da papa Clemente IV il 28 giugno 1265, insediandosi fermamente sul trono (1268) iniziò un dominio aspro, licenzioso e tirannico.

Gli angioini, quindi, si resero odiosi e insopportabili, specie con i Siciliani, i quali, ancor più degli altri sudditi del regno, erano vilipesi e ingiuriati nell’onore con insidie, violenze e spargimenti di sangue, tanto che la nobilissima isola si sollevò (Vespri siciliani 31 marzo 1282) . Per sedare la Sicilia in rivolta il re Carlo d’Angiò accorse con un poderoso esercito ma Pietro d’Aragona, cui era stata offerta la corona del Regno di Sicilia, raggiunta l’isola con 600 armigeri e 8000 almugaveri, lo costrinse all’inerzia in Calabria.

Fu in questo frangente che Pietro D’Aragona s’impossessò del castello di Mesiano con i suoi soldati, uomini senza scrupoli e senza religione, che vessarono gli abitanti di quelle terre.

La descrizione di Diego Corso è molto colorita ma chiara in tutta la sua crudezza: << Nel medio evo, tempo che non ebbe certezza storica, nel luogo ove tuttodì vedesi la fonte di Aramoni, ombreggiata ancora da un arcisecolare caprifico, era situata la terra di Aramoni, accantonata su un ciglione della valle omonima. Nella barbarie di quei tempi oscuri, quel nido di falco era divenuto un covo di masnadieri e di fuorusciti. Gente di armi venuta ad occupare, da parte degli Aragonesi, il castello di Mesiano>>.

Saranno proprio questi uomini che cambieranno la fisionomia del nostro territorio: <<come mosche volate dal mondezzaio sociale, portarono seco il fermento della putredine, avvelenando la gente indigena, formata in gran parte di pastori e contadini>> .

Anche lo Scrugli, con una descrizione non meno tenera, parla dell’arrivo di questa banda, infatti, secondo quanto riferito dallo stesso, sicuramente nel periodo compreso tra il 1282, Pietro, anno della sua calata in Sicilia per i Vespri Siciliani e il 1285, anno della sua morte, dopo aver assediato inutilmente Tropea e aver devastato le campagne d’Aramoni, distrusse i casali di Rodonadi e Bordonadi al fiumetto di Monte Poro, di Carruponi e Bellonio nei siti di Cresta e Castagneto e proseguì altrove.

“Noi non sappiamo, scrive lo Scrugli , se quei casali siano stati riedificati come riferito da alcuni (ad esempio Sergio ndr) per essere novellamente, per altro comando regio, distrutti per essere di gente usa al mal fare e alle rapine.”

Questi masnadieri, cui si unirono malavitosi locali, impadronitisi del territorio che va da Briatico a Nicotera, per ragioni tecniche logistiche si divisero in tre fazioni che presero il nome dai luoghi di origine: Aramoni, Landanico e Caruponi.

La fazione di Aramoni controllava il centro del Poro dalla Fontana di Bandino a Capo Vaticano, dai Petti dell’Acqua Fredda alle coste della Fiumara del Poro, comprese Grotta di Favo e quella delle Fate .

La fazione del monte Landanico, (dal greco “covo di ladri”) formata dai naturali di Sannàto o S. Donato e quelli di Bordonadi (dal greco “fossa” o “fossato”), controllava la costa a sud del Poro da Coccorino a Motta Filocastro, compresi Caroniti, Comerconi col passo della Puzzetta e Mandaradoni col Petto della Guardia .

La fazione di Caruponi (dal greco “Belmonte” o “Montebello”) formata dai naturali di Macrone e di Bellonio, controllava il versante nord-est da Mesiano a Capo Zambrone, compresi Zungri, Zaccanopoli e casali vicini.

Le popolazioni vessate inviarono varie suppliche ai governanti e, finalmente, (1303) Carlo II emise un decreto nel quale si ordinava la distruzione dei Rombolà, che i capi delle masnade fossero confinati nelle isole Lipari e si costruisse un fortilizio a guardia di quelle terricciole, il quale venisse presidiato di aguzzini e genti di armi.

Costruita la torre, la sorveglianza fu affidata a ufficiali speciali detti custodi dei passi (pedaggieri). Non passò molto e la situazione degenerò prima di tutto perché spesso erano gli stessi pedaggieri che tendevano gli agguati; poi perché le fiere discordie tra le famiglie dei Ferrucci e Numicisi di Tropea rafforzarono i banditi, stringendo con loro patti e alleanze.

Un gruppo di masnadieri al comando di Bartolomeo Rahone, partigiano dei Numicisi, in un agguato presso Aramoni, trucidò il milite Pietro Ferruccio e in seguito, con infame tradimento, depredò e assassinò il di lui fratello, Giovanni.

Allora i Ferrucci, adirati per questo nuovo misfatto, si allearono con le genti di Caruponi, di Bellonio, di Macrone e con i guardiani dei passi del Castagneto. I Numicisi intanto, oltre alla fazione del Rahone di Aramoni, ebbero il sostegno dai malviventi di Bordonadi e S. Donato. Dopo queste perfide macchinazioni e brighe private ci furono lotte e misfatti tali che Roberto, figlio di Carlo II, ordinò che tutti i facinorosi e gli inquisiti fossero deportati nell’isola di Stromboli, fino a quel tempo nota come isola dei pirati. Spedì poi in Calabria i capitani Gilberto Centelles e Simone Beauju con un forte corpo di cavalli e di fanti, affidando a Ruggiero di Sambiase il comando e la custodia delle terre di Calabria. S’ignora il nome di questo giustiziere e se sia riuscito a risollevare le parti offese, come s’ignora anche l’anno in cui fece dimora a Tropea .

Traendo profitto dalla disattenzione dovuta a queste beghe fratricide, alle lotte civili fra Tropea e Mesiano e alle scorrerie Catalane che facevano man bassa nei villaggi delle coste calabresi e sulle navi depredando e uccidendo naviganti e mercanti, i masnadieri ripopolarono a dismisura le grotte di Favo e delle Fate, i petti dell’Acqua Fredda, quelli di Brattirò e di Landanico facendo risuonare tutto il territorio di grida sinistre per le sanguinose vendette.

Per questo stato di cose gli abitanti del luogo decisero di liberarsi dei criminali incendiando i boschi dell’altipiano dove i briganti trovavano rifugio. Si rivolsero alla regia udienza, e re Roberto (1309-1343), dimostrando comprensione della situazione, ordinò il bando di tutte le persone sanguinarie e la distruzione dei loro paesi col ferro e il fuoco. Si suppone che ciò sia avvenuto nel 1334, anno in cui Roberto dispose da dieci a quindici galee armate a difesa della costa calabrese .

Con Aramoni fu distrutto anche il Villaggio di S. Donato.

Diego Corso riferisce che, secondo alcuni studiosi, gli abitanti di Aramoni dopo la distruzione del loro villaggio, fondarono i paesi di Zungri, Zaccanopoli e Zambrone e, secondo altri, che vennero da loro scelti perché i loro nomi iniziavano con la zeta.

In realtà gli scampati non fondarono detti villaggi, né furono da loro scelti, poiché l’ordinanza di re Roberto era chiara, infatti, come riportato dallo stesso Corso: “Si dette libera uscita a coloro che vollero rifugiarsi presso i loro congiunti nei villaggi convicini, coll’obbligo di mantenere illibata condotta, dando malleverie di persone probe e conosciute .”

È ovvio che i villaggi fossero già esistenti e tra i naturali vi erano parenti degli stessi, i quali, non solo dovevano accettare di ospitarli, ma dovevano presentare garanzie come persone probe e conosciute.

Agostino Gennaro

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