Non si può non amare Verdi

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coverDi seguito la prefazione del libro VA’ , PENSIERO, SULL’ALI DORATE di Pasquale Vallone pubblicato settimane addietro dalla THOTH EDIZIONI:

Giuseppe Verdi è, forse, il più grande artista romantico che abbia avuto l’Italia. Certamente è uno dei più celebri compositori di tutti i tempi. Autore di melodrammi che fanno parte del repertorio operistico dei teatri di tutto il mondo. Con Puccini è l’operista più rappresentato al mondo e occupa un posto privilegiato nell’olimpo dei più grandi creatori musicali di tutti i tempi.

Il cigno di Busseto, il Maestro, il grande Vecchio, sono i più noti epiteti attribuiti a Verdi.

Il suo esordio, nella vita ed artistico, fu difficile, pieno di ostacoli e segnato da gravi vicissitudini. Ebbe tante umiliazioni che lo temprarono per tutta la vita.

 È stato un grande musicista e un personaggio favoloso che la devozione popolare di generazioni ha tenacemente mitizzato. Mutano i costumi ma il mito di Verdi rimane sempre vivo. Un mito radicato nella coscienza di generazioni di persone che cercano e vogliono la conoscenza di quel che dà il piacere.

Non si può non amare Verdi. L’uomo ebbe un carattere aspro, spigoloso, irascibile, tendenzialmente portato alla depressione. Non nascose mai l’umiltà delle sue origini. Sempre presente la sua ossessione per la campagna che egli chiamò il suo “deserto”. Il Maestro fu definito “un tranquillo uomo di campagna toccato dal genio”. Un uomo rustico e schietto, integerrimo e di grande e sana onestà intellettuale.

Rimase sempre orgoglioso della sua estrazione contadina. Fu un uomo colto e fine osservatore della realtà e dell’ambiente che lo circondava.

Pasquale Vallone
Pasquale Vallone

Quell’arcigno contadino di Le Roncole non dimenticò mai quella bocciatura al Conservatorio di Milano, anzi la considerò un affronto. Non volle mai, nel corso della sua vita, sentir parlare di professori, attestati, diplomi, esami.

Di tutta quella vicenda gli rimase l’esasperazione totale del suo orgoglio di autodidatta. E non perdonò mai quei professori che lo bocciarono.

Il suo fare, quasi da despota, forgiò il suo carattere, a volte debole, a volte forte e risoluto, e lo condizionò alla creazione di pagine di sublime arte musicale.

Anche quando fu prostrato dalla vita, dopo la morte dei due figli, Virginia e Icilio e della moglie Margherita, anche quando le prospettive erano incerte, ha sperato e ha creduto nel futuro. Senza crearsi illusioni, ma con forza. Perché sapeva di valere, perché sapeva di avere qualcosa da dire. E sapeva che l’avrebbe detta.

La mente di Verdi si nutrì sempre di forti pensieri che risvegliarono i palpiti del suo cuore ardente e generoso. Con la Storia e con la Bibbia sostentava il suo spirito e in esse cercava e trovava l’ispirazione per i suoi primi tentativi d’artista.

L’artista è impareggiabile, completo nella sua vasta produzione, drammatica e buffa, leggera e impegnativa. Nelle sue immortali creazioni operistiche rimase attento alle grandi correnti di pensiero che percorrevano l’Italia e l’Europa del tempo.

Per lui l’arte è stato lavoro e fatica, dura e stressante. In essa cercava quella gioia e quelle soddisfazioni che non riusciva ad avere della vita.

Nella sua grandezza compositiva ebbe una forte sensibilità drammaturgica che lo proiettò verso traguardi sempre più alti. Aveva un grande senso critico che gli consentì di andare incontro ai desideri di un pubblico sempre più esigente senza, però, mai rinunciare ai propri convincimenti di uomo e di artista.

Nella musica adoperò un linguaggio drammatico che acquistava potenza dalla perfetta fusione della nota con la parola. Non si possono separare l’una dall’altra, così nei primi saggi come negli ultimi capolavori, tanto sono strettamente collegate.

Verdi, forse, non fu mai un uomo felice, nemmeno quando era famoso e ricco. Il suo umore cupo, i suoi momenti di depressione glielo impedivano. Il suo carattere è stato segnato sin dai primi anni della fanciullezza. Non cambierà. Spesso il suo comportamento era ruvido, fino alla villania. Vedeva nemici dovunque.

Fu un ardente patriota. Sentì forte e vivo l’ideale della libertà della patria e fu impegnato in politica sempre animato dal nobile sentimento del patriottismo che è un sentimento di vivo amore e di dedizione per la propria patria.

Fu lettore di Pellico e D’Azeglio e fece suo il problema dell’unità nazionale e dell’indipendenza.

L’anticlericalismo fu un tratto tipico della personalità e della visione politica di Verdi. Come, del resto, di tutta la borghesia progressista, e poi del movimento contadino e operaio socialista, per tutto l’Ottocento e il primo Novecento, soprattutto in Emilia-Romagna. Ma l’anticlericalismo è stato anche un mito interiore, una metafora ossessiva della drammaturgia verdiana.

La sua immagine che si identificò, per la maggior parte degli italiani, col Risorgimento, è storia nazionale trasformatasi in epopea. Allora i ferventi italiani, quei patrioti che nutrivano nei loro cuori il sentimento profondo dell’amor patrio e di italianità, affrontando anche il sacrificio della libertà personale e della propria vita, nei teatri, nelle piazze e dovunque, gridavano, esprimendo ed esternando il proprio sentimento di italianità: “Viva Verdi” e intendevano Viva Vittorio Emanuele Re D’Italia.

Pasquale Vallone

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