Granelli di storia serrese

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La Certosa SerraNel 1192, la certosa di Serra San Bruno, che da quasi cento anni viveva secondo proprie costituzioni, per volere del Papa e del Re, passò all’osservanza dell’ordine cistercense  e  vi rimase fino al 1514.

I motivi di questo avvicendamento non sono noti, possiamo solo avvicinarci a quest’evento di oltre 150 anni leggendo la cronistoria del 1856, scritta dal Sacerdote  serrese Bruno Maria Tedeschi e inserita nell’opera di Filippo Cirelli :

“IL REGNO DELLE DUE SICILIE”  -Calabria Ulteriore Seconda – Volume del 1858.-

 

         “Serra, essendo, come abbiam detto, una città moderna, nè fabbricata sulle rovine di un’ antica, non offre vestigio alcuno che ricordasse l’eser­cizio di un culto mitologico praticato dai popoli dell’an­tica Magna-Grecia. Le sole congetture sulla denominazione della citata selva Lacinia, e le tradizioni del vicino villaggio di Spadola, ove s’è rinvenuto un antico simula­cro di pietra rappresentante la Dea Minerva, nel luogo medesimo ove s’erge una chiesetta intitolata S. Maria so­pra Minerva, fan supporre l’esistenza in tempi antichi dei riti dei Politeismo; ma quantunque il territorio pro­priamente di Serra, conservasse delle denominazioni greche, pure queste non sono allusive a veruna circostanza religiosa. La storia ecclesiastica di Serra è quella del­l’Abazia Nullius di S. Stefano dei Bosco, al di cui re­gime spirituale andò soggetta fin dalla sua fondazione. L’Abazia Certosina stendeva il suo potere giurisdizionale sopra una quasi Diocesi composta di cinque grossi villag­gi, tra cui Serra primeggiava a guisa di Capoluogo, e come il paese di maggiore importanza, e come il più vi­cino alla Sede Abaziale. Ecco i brevi cenni storici relativi a questo articolo.

    Ruggiero Conte di Sicilia e di Calabria, colui che ponea un termine alle tante peripezie e fluttuazioni diverse di cui era infelice teatro questa parte estrema della penisola, colla creazione d’ una monarchia nella sua fami­glia, è stato il fondatore dell’Abazia di S. Stefano. Per opera di sua consueta pietà, e per prova del suo speciale affetto verso l’Eremita Brunone e Compagni, edificava al cader del secolo XI, il tempio di S. Maria de Remore (cosi appellato per l’immense selve che lo circondano) onde servisse all’esercizio del culto e dei riti religiosi di quei Solitarii; e dopo pochi anni gettava le fondamenta della tanto celebre Certosa di S. Stefano. Nel giorno 15 Agosto del 1094, giorno sacro all’ Assunzione della Vergine, fa convocare per suo ordine espresso, Àlcherio Arcivescovo di Palermo, e i Vescovi Tristano di Tropea, Augerio di Catania, Teodoro Messimerio di Squillace, Goffrido di Mileto ed Errico di Nicastro; e colla sua assistenza e quella della Contessa Adelaide, non che di numeroso corteo fa procedere all’Inaugurazione del tempio di S. Maria. In quella solenne ricorrenza, arricchisce il tempio novello di copiose elargizioni, cedendo per via d’autentico diploma una sua Cappella di jus padronato, esente da ogni episcopale giurisdizione, detta d’ Arsafia, antico Monastero di monaci Basiliani, dallo stesso espulsi per avere abbracciato lo scisma d’Oriente e l’eterodosse dottrine dell’Arianesimo. Aggiunge a tal donazione tutto il vasto territorio del soppresso Monastero, ed ogni altra dipendenza, tra cui molte chiese rurali e diversi villaggi, cioè; S. Andrea (diverso dall’attuale), Roseto, Bingi , Arunco, Oliviano e Bivongi, dei quali, toltone 1′ ultimo, alcuni più non esistono, ed altri cambiarono denominazione. Nello stesso diploma è inclusa la donazione di una lega di territorio all’intorno  dell’Eremo di S. Maria coll’annesso villaggio di Spadola: la qual Lega, spatium Leucae, giusta il sistema metrico di quei tempi, e come si rileva dalle parole testuali del citato diploma, comprendeva tutta la periferia dei monti da cui vien formato bacino di Serra. Questo novello territorio, diverso da quello del Monastero d’Arsafia, venne smembrato dalla Diocesi di Squillace, i di cui vescovi , Messimerio e Giovanni Donato, prestarono il loro consenso, aggiungendo la cessione del  reggime spirituale : il primo con un privilegio scritto in greco e che incomincia -(illegibile)-  e il secondo con un atto del 1098, in cui sono amplificate le riflessioni del suo predecessore. Il tutto veniva ratificato dall’ Autorità Pontificia, e sopratutto da Urbano II, discepolo di S. Brunone, con una sua Bolla che incomincia:

–              Dilectis in Christo filiis Brunoni et Lanvino salutem; da Pasquale II , Callisto II , Alessandro III ed Onorio, i quali due ultimi confermarono il nuovo acquisto del  villaggio di Gasparina ceduto alla Certosa da Stefano vescovo di  Mileto.

Questa fu 1’origine della Diocesi Abaziale Nullius di S. Stefano, i cui Priori la governarono a titolo di Ordinari, immediate S. Sedi subjecti, per lo spazio di sette secoli.  De’ tanti villaggi di cui fanno menzione gli an­tichi Diplomi, solamente cinque perdurarono nella dipendenza della Certosa fino all’epoca della soppressione, cioè Spadola, Bivongi, Montauro, Gasparina, e Serra. E’ ignoto il destino degli altri : è probabile  però che sieno andati distrutti nella incursione de’ Saraceni, e i loro abitanti sieno andati a raccogliersi nei paesi superstiti. La certosa di S. Stefano conservò dunque per molti secoli i suoi privilegi e prerogative; e quantunque il territorio della sua giurisdizione non fosse stato vasto e popoloso come quello delle circonvicine Diocesi pure rivaleggiava con esse per la saggezza e buon ordine dell’amministrazione religiosa, e per le costanti premure de’ Priori pro tempore di accrescerne il lustro e lo splendore, alla mercé d’ importanti regolamenti, da cui facciam dipendere la continuazione del culto, e di quella soda pietà che tuttavia si ammira ne’ paesi una volta soggetti alla loro giurisdizione.

L’ Abazia di S. Stefano, nel non breve corso di sua esistenza, subì però diverse perturbazioni e rivolgimenti, che bisogna qui ricordare. Avvenne in fatto che, sullo scorcio del secolo XII, e precisamente nell’anno 1192, i Religiosi di quel tempo raffreddati nello spirito della regola Certosina istituita dal loro Fondatore, o come vogliono alcuni, nello scopo di stabilire regole più certe fondamentali, cercarono di cambiare divisa ed istituto, e dietro reiterate postulazioni ottennero dal papa Celestino III la facoltà di svestire l’abito dell’Ordine proprio, per indossare quello dell’Ordine Cisterciense. Questo nuovo stato durò fino al 1411; epoca in cui la certosa, per mancanza di Padri Claustrali, subiva la destinazione di una Commenda, la quale ebbe la durata meglio di un secolo fino al 1514. In quel torno di tempo i PP. Certosini, riuniti in Capitolo generale in Grenoble, decisero impegnarsi con ogni mezzo a togliere da estranee mani quella casa religiosa che è la seconda per antichità e rimembran­ze, dopo la Gran Certosa; e riuscendo a superare non po­che difficoltà ed ostacoli, la riacquistarono, mercé l’auto­rità del Pontefice Leone X, il quale sopprimeva gli Abati commendatarii, ed ordinava che la Certosa ritornasse agli antichi possessori con tutti gli annessi dritti e dipenden­ze, di cui i Certosini rimasero in possesso fino al princi­pio del secolo presente, epoca della soppressione avvenu­ta per la militare occupazione de’ Francesi. Un sol fatto si può citare dopo la ripristinazione dell’Ordine Certosino contro il pacifico possesso del medesimo intorno a’ dritti giurisdizionali Diocesani, ed è l’ostinata controversia mossa da Fabrizio Sirleti Vescovo di Squillace. Costui met­tendo in campo delle pretenzioni di nessun valore in diritto tentò contrastare il possesso di alcuni paesi dipendenti dall’Abbazia; ma, dopo una lite sostenuta per più di 12 anni, Roma pronunziava deffinitivamente a favore de’ Cer­tosini.

Queste sono in breve le notizie relative alla storia ecclesiastica di Serra, la quale governata per tanti secoli dalla Certosa, cessava dal dipenderne nel 1807, e propria­mente poco innanzi alla morte dell’ ultimo Ordinario, il Priore D. Gregorio Sperduti. Da quel tempo in qua  la Diocesi di S. Stefano, suddivisa e smembrata in due parti, fu sottoposta provvisoriamente al reggime spirituale dei Vescovi di Squillace, e Geraci; il primo de’ quali si ri­tenne Montauro e Gasparina, ed il secondo Serra, Spa­dola e Bivongi…”-

                               -Granelli di storia nostra-  di Girolamo Onda

 

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