I due fratelli "don": Alberto (gangster) e Salvatore (parroco)

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27/03/12. Nel film “Anastasia mio fratello” del 1973 (regia di Steno, con Alberto Sordi, Richard Conte, Edoardo Faieta e Maria Tedeschi) si racconta la storia di don Salvatore Anastasio e del fratello Alberto, nati a Parghelia. Il primo, parroco,  guidò la parrocchia di  Carìa di Drapia  dal 1965 al 1973. Giovanissimo lasciò la Calabria per New York intorno al 1919, dove venne insignito della carica di vice-parroco nella parrocchia di Santa Lucia, nel quartiere di Little Italy. Suo fratello Alberto, ribattezzato “Big Al” ma registrato all’anagrafe come Umberto Anastasia, iniziò a lavorare al porto di New York come scaricatore (in inglese “longshoreman”). Fu qui che, per un omicidio avvenuto negli Anni ’20 (seguìto, si narra, ad una sottile provocazione subita da parte di un altro scaricatore di porto), costatogli una condanna di 18 mesi da scontarsi presso il carcere di Sing Song, egli mostrò le prime avvisaglie di una decisa inclinazione verso il crimine, ed in particolar modo verso l’omicidio. Nel corso della propria “carriera” di malvivente, Alberto Anastasia entrò nelle grazie di personaggi quali Giuseppe “Joe the Boss” Masseria e soprattutto Charles “Lucky” Luciano, del quale fu per vari anni fedele seguace. Durante l’epoca del Proibizionismo, Big Al collaborò con l’organizzazione di Lucky Luciano nella gestione di attività lucrative illegali quali: prostituzione, gioco d’azzardo, estorsione e contrabbando di alcoolici (rum in particolare, il cui smercio illegale terminò però nel 1933, per effetto delle leggi sulla liberalizzazione promulgate dal senato americano). Il ruolo di maggior rilevanza assunto da Anastasia all’interno della società malavitosa è stato quello di controllare il braccio destro del “National Crime Syndicate” (una sorta di sindacato posto a tutela delle attività criminose), cioè il gruppo “The Boys From Brooklyn”. Quest’ultimo, sotto il nome di “Murder, Inc.”, cui aderiva lo stesso Anastasia, commise tra 400 e 700 omicidi in quasi dieci anni di attività. L’ambizione di Anastasia, ovvero controllare una larga parte degli introiti provenienti dalle sale di gioco d’azzardo che la malavita aveva realizzato a Cuba (con l’aiuto del governo di Fulgencio Batista, nella prima metà degli Anni ’50), lo rese inviso ad altri esponenti della mala. Tra questi vi era Vito Genovese, il cui tentativo di assassinare Anastasia andò a buon fine: a New York, la mattina del 25 ottobre 1957, nel locale del barbiere del Park Sheraton Hotel (all’incrocio tra la 56esima strada e la 7ma Avenue), due uomini col viso ricoperto da sciarpe seminarono il terrore, uccidendo tutti i presenti. La fine del più famoso esponente della mafia calabrese trapiantata negli Stati Uniti è passata alla storia come “l’omicidio dal barbiere”. Dopo la morte del Fratello, don Salvatore, sconvolto, rientrò in Italia. Al suo rientro  nella sua Parghelia il vescovo del tempo lo volle parroco del paese di Carìa. Morì nel ’73. Le sue spoglie mortali riposano nel cimitero di Parghelia.

 

Don Salvatore Anastasio ricordato da Pinuccio Naso. Don Anastasio giunse nella nostra parrocchia dagli Stati Uniti d’America, nel 1965 portando una ventata di primavera e innovazioni. Sostituì l’amato don Antonio Mazzitelli che da oltre cinquantanni esercitò la missione di parroco nella parrocchia di Carìa, distinguendosi per il suo attaccamento ai parrocchiani, alla nostra chiesa, e per lo zelo e fede cristiana sostenuta. Vestiva sempre con l’abito tradizionale, ha vissuto la sua vita sacerdotale dedicandola al Signore, senza trascurare  mai i suoi doveri, anche quando gli anni incominciavano a pesare e non riusciva più ad esercitare il sacerdozio. Don Salvatore morì a Carìa  nella primavera del 1973 pianto  da tutto il paese. Don Salvatore, apportatore di modernità e di rinnovazione è stato forse poco capito e poco apprezzato da alcuni tradizionalisti e conservatori ma lui, continuò la sua missione. Prendendo spunto dai film di Don Camillo e Don Peppone, integgerrimo e deciso si oppose sempre sugli avversari e su tutte quelle persone che ostacolavano il suo sacerdozio. Promotore di moltissime iniziative, veniva seguito con entusiasmo dai giovani e dai meno giovani e dalle persone anziane; visitava frequentemente le persone inferme e nel tempo libero qualche partita a carte  con gli amici e qualche pranzo ai ristoranti limitrofi. Portò quasi tutto il paese a Pompei in pellegrinaggio al Santuario dalla Madonna del Rosario e agli scavi. A lui si deve la costruzione del campo sportivo in località Giammoro, del teatro- cinema (oggi non più esistente )nella chiesa di san Nicola e la costruzione della Casa Parrocchiale sulla Via Provinciale. Ha lasciato  un  bellissimo ricordo  nei  cuori  dei cariesi  unitamente alle sue opere. Non si può nascondere che ha avuto alle spalle episodi familiari  burrascosi ma  non si può oscurare la sua missione di sacerdozio. Uomo deciso, con la voce autorevole e decisa ma con un cuore grande, pronto ad accogliere tutti e tutto; si prestava a tutto, seguiva le vicende del paese e interveniva quando lo riteneva necessario senza mai lenire la personalità e la sensibilità delle persone. Era sempre col sorriso sulle labbra. Fu colpito da un male incurabile e morì   nel giro di sei mesi. Prima di essere ricoverato a Lamezia Terme e successivamente a Roma, volle salutare per l’ultima volta, dalla finestra della casa parrocchiale, da lui voluta e costruita , la statua della Madonna del Carmelo, il  16 luglio del 1973 ,che come ogni buon Cariese amò più di ogni altra cosa al mondo.

 Pinuccio Naso

 

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